Cronaca

Il boss del Poro e la donna che si è ribellata agli Accorinti: “A Zungri è come un Dio”

Le rivelazioni della testimone di giustizia Elisabetta Melana e le dichiarazioni dei pentiti: "Peppone ha un cimitero di vittime alle spalle"

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E’ il 24 giugno del 2018. A Zungri, nell’altopiano del Poro, in provincia di Vibo Valentia, è una giornata come tante altre. Alla Stazione dei Carabinieri si presenta una donna che dice di essere stata picchiata dal compagno. E’ impaurita ed è soprattuto disperata. Chiede aiuto e denuncia il suo uomo per maltrattamenti. Lei è Elisabetta Melana, 51 anni. Oggi è una testimone di giustizia e le sue dichiarazioni sono confluite nella maxi inchiesta “Rinascita Scott” con la quale la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha fatto arrestare oltre 300 persone. Nell’elenco spicca Ambrogio Accorinti, 56 anni, di Zungri. Lui è il compagno di Elisabetta, l’uomo che l’avrebbe picchiata spingendola a denunciarlo ai carabinieri. E’ il fratello di Giuseppe Antonio Accorinti, detto “Peppone”, il boss del Poro e il capo della Locale che secondo gli inquirenti controllerebbe la zona del Monte Poro.

Giuseppe Accorinti

La locale di Zungri. Si tratta di una delle più importanti strutture di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese. Nella mappa del crimine ricostruita dal Nucleo operativo e investigativo dei Carabinieri di Vibo sotto la locale di Zungri opererebbero la ‘ndrina di Briatico, capeggiata da Francesco Giuseppe Bonavita e Antonio Accorinti, quella di Cessaniti guidata da Francesco Barbieri e quella di Vibo Marina con a capo Antonio Vacatello. Sopra di tutti, subalterno solo ai Mancuso di Limbadi, spicca la figura di “Peppone” Accorinti. Di lui, ancor prima della cognata Elisabetta Melana, hanno parlato diversi pentiti. Tra i primi Michele Iannello che gli ha attribuito la dote del Vangelo: “A Zungri all’epoca – riferisce – c’era una ‘ndrina distaccata dai Mancuso facente capo a Peppe Accorinti e al fratello di cui ora mi sfugge il nome. Peppone Accorinti era molto legato sia a Mancuso Francesco che a Mancuso Diego. So per certo che Peppe Accorinti era un killer dei Mancuso, insieme a Lele Fiamingo”.
Per l’altro collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, il boss del Poro sarebbe vicino a Saverio Razionale e a Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”. “Del locale di Zungri che comprende Pannaconi, San Costantino, San Leo, Briatico e Cessaniti, fanno parte: Peppone Accorinti, il fratello che credo si chiami Francesco, un altro fratello che è sempre in campagna con gli animali ed è un sanguinario, Francesco Barbieri di Pannaconi, il fratello di Francesco Barbieri, cognato di Peppone Accorinti, e il figlio di questi che si chiama Peppone, già arrestato per tentato omicidio, Vincenzo Riggio di San Costantino, Pasquale Riggio, questo “Lollo” (che i carabinieri identificano in Gregorio Niglia ndr), Paolo Romano, Francesco Romano; Pino il Cane (cioè Giuseppe Niglia, padre di Gregorio),Antonio Vacatello di Vibo Marina”. Andrea Mantella conferma e aggiunge: “Della cosca di Giuseppe Antonio Accorinti, detto Peppone, che opera tra Zungri, Cessaniti, San Marco e San Costantino di Briatico, fanno parte i fratelli Ciccio e Antonino Barbieri, i fratelli Fusca, Pino e Nicola, i fratelli di Peppone Accorinti, uno che si chiama Ambrogio e l’altro di cui non ricordo il nome, ne fanno parte anche i figli della sorella, Mariano Fiamingo e qualche altro ragazzo… Ricordo che da loro erano andati a “guardarsi” Salvatore Morelli e Francescantonio Pardea quando è scattata l’operazione Goodfellas, della quale noi avevamo saputo in anticipo, poi, essendo finiti nella mani sbagliate, ovvero in quelle di Peppone Accorinti abbiamo temuto la lupara bianca e Fiorillo Rosario e Battaglia Rosario sono andati a riprenderli per portarli a Vibo Marina a casa di uno zio di Sasha e Davide Fortuna”.

La testimone di giustizia. Alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia si aggiungono quelle, recentissime, di Elisabetta Melana, ex convivente di Ambrogio Accorinti e divenuta testimone dopo aver vissuto per 27 anni al fianco del suo compagno e della sua famiglia. “Il gruppo a cui faccio riferimento – dichiara – è composto dai fratelli Giuseppe, Pietro e Ambrogio Accorinti. So che il gruppo è composto da altre persone in quanto, quando Giuseppe abitava sotto di me, c’erano tante persone che venivano a trovarlo, anche dai paesi vicini a Zungri”. La donna parla anche dei traffici di droga degli Accorinti. “Ambrogio ed i suoi fratelli, Giuseppe e Pietro, sono soliti coltivare delle piantagioni di droga del tipo marijuana. In alcune circostanze lui ed i fratelli sono stati arrestati all’interno di tali piantagioni, altre volte invece, in passato, li ho visti io personalmente coltivarle, negli ultimi anni invece pur non avendoli visti direttamente, ritengo che stiano continuando con le predette coltivazioni sia per gli orari che mantiene il mio ex convivente Ambrogio, sia perché ho avuto modo di notate che lo stesso rientrava a casa con le dita sporche di una sostanza di colore verde”. Non solo droga ma anche armi nascoste nei pagliai.

Peppone come un Dio. A Zungri e nell’altopiano del Poro i fratelli Accorinti la comandavano e facevano paura. La conferma arriva della parole della stessa Melana: “Tutti hanno paura di Ambrogio e dei suoi fratelli perché se la gente non fa quello che dicono loro, poi gli incendiano i pagliai o gli causano altri danneggiamenti. Ricordo che se la sono presa anche con il loro cugino Gaudioso Giuseppe, detto Pino, perché facendo di mestiere il carrozziere riparava anche i mezzi dei Carabinieri”. A Zungri – aggiunge la testimone di giustizia – Antonio Giuseppe Accorinti “è considerato come un Dio”. “Per chiedere la restituzione di cose loro rubate, molte persone – riferisce Elisabetta Melana agli inquirenti – si recavano a casa degli Accorinti”.

Un boss sanguinario. Emblematico un altro passaggio dell’ordinanza di custodia cautelare nel corso della quale i pentiti descrivono Peppone Accorinti come una persona molto pericolosa che avrebbe compiuto numerosi omicidi e al quale interessano solo i soldi: “Oggi è amico mio e gli fa comodo, domani non più e ti ammazza lui stesso”. Mantella lo descrive così: “Ha un cimitero alle spalle per la tanta gente che ha ucciso, faceva sempre il doppio gioco, nel senso che se uno gli tornava utile lo lascia vivere, se così non era e capitava che andava a trovarlo non lo lasciava neanche tornare a casa. Mi disse che lui le persone le prendeva con una corda, le strangolava e le buttava in un fosso”.

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