Cronaca

La mappa delle cosche a Vibo, tra “vecchi” boss e “nuove leve”

Le dichiarazioni dei pentiti Andrea Mantella e Bartolomeo Arena hanno permesso alla Dda di Catanzaro di ricostruire i nuovi assetti della 'ndrangheta in città

Vibo-Valentia-dallalto-fotomodernagrillo

Un locale composto da tre diverse 'ndrine operanti a Vibo Valentia. E' quanto emerso negli anni dalla monumentale operazione “Rinascita-Scott” che ha colpito anche le principali famiglie di 'ndrangheta operanti nella città capoluogo di provincia. Secondo la mappa disegnata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro il territorio era diviso in tre zone: nel centro storico agivano i "Lo Bianco-Barba" guidati dal figlio del boss storico Paolino Lo Bianco e da Enzo Barba detto "il Musichiere"; nell'area che va dal Cancello Rosso a San Leoluca operavano i "Pardea-Ranisi mentre nel quartiere Affaccio c'erano i "Cassarola". Una vera e propria mappa del crimine attualizzata attraverso le dichiarazioni fornite da diversi pentiti e, in particolare, da Andrea Mantella e Bartolomeo Arena.

La 'ndrina dei Lo Bianco-Barba aveva competenze nella zona del centro storico e a capo vi erano Paolino Lo Bianco, figlio dei Carmelo, il boss deceduto a Parma nel 2014, Vincenzo Barba (alias il “Musichiere”), Filippo Catania, Antonio Lo Bianco e Raffaele Franzè (deceduto) riconosciuti quali vertici apicali del sodalizio mafioso, inseriti nella "Società maggiore", con compiti di decisione, di pianificazione delle strategie e degli obiettivi da perseguirsi e delle azioni delittuose da compiere, della gestione dei rapporti e degli equilibri con i gruppi rivali, della protezione dei membri. A far parte di questo gruppo sarebbero con ruoli differenti Bruno, Francesco e Raffaele Antonio Barba; Francesco Bognanni, Paolo Carchedi, Fortunato Ceraso, Carmelo Salvatore D'Andrea, Giuseppe D'Andrea, Nazzareno Franzè, Domenico Franzone, Sergio Gentile, Antonino Lo Bianco, Carmelo Lo Bianco (classe 1972), Carmelo Lo Bianco (classe 1992), Leoluca, Michele (cl. ’48), Nicola, Salvatore; Vincenzo Lo Gatto, Francesco Michele Patania (alias “Ciccio bello”), Enzo Puntoriero, Domenico Prestia, Domenico Rubino, Filippo Susanna e Salvatore Tulosai. Per la Dda sarebbero partecipi alla 'ndrina e autori di attività estorsive e usuraie oltre che ad una serie di attività illecite per il controllo del territorio.




L'altra 'ndrina operante sul territorio è quella dei “Pardea-Ranisi” (al cui interno sarebbe confliuto il boss “scissionista” ora collaboratore di giustizia Andrea Mantella con le cosiddette “nuove leve”) operante nelle zone del Cancello Rosso e di San Leoluca. A capo di questo gruppo ci sarebbe il 78enne Domenico Camillò e, insieme a lui, Antonio Macrì. Emerge in questo contesto la figura dell'aspirante boss Domenico Macrì, detto “Mommo”, ritenuto dagli inquirenti promotore e direttore del sodalizio, nonché elemento di vertice dell'ala militare. A lui sarebbe spettato il compito di individuare i bersagli delle attività estorsive e delle azioni ritorsive volte al controllo del territorio, di gestire e pianificare gli agguati, indicando gli obiettivi da colpire e ponendosi, pertanto, quale mandante delle azioni di fuoco. Sulla stesso piano gli inquirenti pongono Francesco Antonio Pardea e Salvatore Morelli, detto “L'americano”, ex luogotenente di Andrea Mantella, allo stato irreperibile. Quest'ultimo aveva il compito di gestire i rapporti con le altre consorterie facendo da coordinatore con i sodali e collaborando con Domenico Macrì (catturato) e Francesco Antonio Pardea nella gestione della 'ndrina. Tra i componenti vengono poi individuati anche Giuseppe Camillò e il nuovo pentito Bartolomeo Arena che con le sue dichiarazioni ha permesso di ricostruire i nuovi assetti della 'ndrangheta a Vibo. Il gruppo avrebbe avuto ramificazioni su Pizzo attraverso Domenico Pardea, 51 anni, altro esponente di spicco e anello di congiunzione con altre consorterie. Gli inquirenti inquadrano poi tra i componenti della 'ndrina Domenico e Michele Camillò, Carmelo Chiarella, Filippo Di Miceli, Luigi Federici, Marco Ferraro, Salvatore Furlano, Daniele Lagrotteria, Michele Lo Bianco (cl. ’75), Luciano Macrì, Michele Pio Maximiliano Macrì, Michele Manco, Vincenzo e Salvatore Mantella, Michele Pugliese Carchedi, Marco Startari, Giuseppe Suriano, Domenico e Giuseppe Tomaino.  Tutti giovani emergenti della criminalità vibonese alle dirette dipendenze – secondo l'accusa – di Salvatore Morelli, Mommo Macrì e Francesco Antonio Pardea. Sarebbero loro gli esecutori materiali delle azioni delittuose pianificate dai vertici: agguati e attività estorsive o ritorsive. Salvatore Furlano invece si sarebbe dedicato all'esercizio abusivo del credito e dell'usura per contro di Domenico Lo Bianco mentre – sempre secondo quanto emerge dalle indagini - Michele Dominello, Vincenzo Tassone, Salvatore Morgese e Vincenzo Pugliese Carchedi avrebbero custodito “armi e mezzi logistici da utilizzare per la perpetrazione delle azioni delittuose”.

Tra la zona del quartiere Affaccio e la periferia Sud di Vibo opererebbe invece la terza 'ndrina quella dei “Cassarola”. A capo ci sarebbe Rosario Pugliese, detto “Saro”, ritenuto il direttore del sodalizio “con compiti decisionali e rappresentativi”, coordinatore delle attività estorsive e di controllo del territorio unitamente al figlio Francesco Pugliese, detto “Willy”. Per gli inquirenti si sarebbe occupato dell'ala imprenditoriale ed economica della consorteria Orazio Lo Bianco, il quale avrebbe intrattenuto rapporti con esponenti dell'Amministrazione comunale di Vibo Valentia e con altri imprenditori “orientando il pacchetto di voti 'a disposizione' della famiglia in favore dei politici vicini al sodalizio, contribuendo alla loro elezione e mantenendo i rapporti con gli stessi”. Del gruppo facevano parte per gli investigatori anche Giuseppe Pugliese, detto “Pino”, sodale deputato al controllo del territorio e, in particolare ad avvistare e comunicare i movimenti delle forze dell'ordine”; Carmela Lo Bianco, detta Melina, quale custode della cassa comune del sodalizio; Loris Palmisano, ritenuto il coordinatore dei sodali più giovani e, ancora, Michele Lo Bianco, classe '99. Alla dirette dipendenze di Rosario Pugliese e Orazio Lo Bianco, ci sarebbe stato Francesco Paternò, il quale avrebbe collaborato «in particolare alla consumazione dei reati di truffa e turbativa d’asta» e ad occuparsi “della consumazione di reati in materia di armi, di estorsioni, di ricettazione e riciclaggio di veicoli per conto del gruppo”.

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