Rinascita, dai Bonavota alle “nuove leve” di Vibo: gli ultimi otto latitanti da catturare

Ecco chi sono i ricercati sfuggiti all’arresto nel maxi blitz dello scorso 19 dicembre. Tra di loro esponenti di primo piano della ‘ndrangheta vibonese

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Pian piano li stanno prendendo tutti. L’ultimo, in ordine cronologico, è stato Gregorio Giofrè, colui che Andrea Mantella ha definito il “ministro dei lavori pubblici” della ‘ndrangheta vibonese. In precedenza si erano costituiti Saverio Lacquaniti, 25 anni, anche lui di San Gregorio d’Ippona, e Giuseppe Mancuso, 29 anni di Limbadi, figlio di Giovanni, uno dei capi indiscussi dell’omonimo clan. Tutti e tre erano sfuggiti alla cattura nel maxi blitz dello scorso 19 dicembre quando la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sferrò un colpo durissimo alla ‘ndrangheta vibonese arrestando oltre 300 persone nell’ambito dell’operazione passata alla storia con il nome in codice di “Rinascita Scott”. Sono ora otto i latitanti che mancano all’appello e il loro destino appare segnato. Il lavoro dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Vibo Valentia non è infatti ancora finito e per completare la lunghissima lista dei destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere mancano alcuni esponenti di primo piano della criminalità organizzata della provincia di Vibo. Autentici boss attualmente latitanti e attivamente ricercati. Come lo era fino all’altro ieri Gregorio Giofrè, catturato in una casa di campagna di San Gregorio d’Ippona e portato in carcere dopo quasi sei mesi di ricerche.

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Pasquale e Domenico Bonavota

I Bonavota. Sono scomparsi già prima del blitz dello scorso 19 dicembre i fratelli Pasquale e Domenico Bonavota, di 44 e 39 anni, entrambi di Sant’Onofrio, condannati alla pena dell’ergastolo al termine del processo scaturito dall’operazione “Conquista”. Dal novembre del 2018 non si ha più traccia dei due fratelli. Pasquale è considerato la “mente” dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta ritenuta egemone a Sant’Onofrio e nei paesi limitrofi, zona industriale di Maierato compresa. Domenico è invece considerato il capo dell’ala militare. Gli altri due fratelli, Nicola e Salvatore Bonavota sono stati arrestati e portati in carcere all’alba del 19 dicembre e la misura cautelare è stata confermata dal gip distrettuale. Nell’elenco dei sette latitanti ricercati nell’ambito dell’inchiesta “Rinascita-Scott” c’è un altro santonofrese ritenuto vicino al clan dei Bonavota. Si tratta di Domenico Cugliari, classe ’92, detto “Scric”. Da Sant’Onofrio a Maierato il passo è breve ed anche in questo caso il filo conduttore è un altro indagato resosi irreperibile dopo la maxi operazione della Dda di Catanzaro. Si tratta di Domenico Cracolici, 38 anni, pure lui ufficialmente latitante e nella lista dei ricercati.

Salvatore Morelli

Sulle tracce di Salvatore “l’Americano”. Tra i più pericolosi in circolazione c’è Salvatore Morelli, alias “Turi l’americano”, nato a Vibo il 13 ottobre del 1983, ritenuto esponente di primo piano della ‘ndrina dei “Ranisi”, già luogotenente di Andrea Mantella, l’ex boss “scissionista” oggi collaboratore di giustizia. A tracciarne il profilo è proprio quest’ultimo: “Posso affermare – racconta agli inquirenti il pentito – che, quando sono stato carcerato per l’ultima volta, sul territorio il potere lo lasciai a Salvatore Morelli e ai due miei cugini, Vincenzo e Salvatore Mantella, i quali si servivano degli altri appartenenti al gruppo, ovvero Domenico Tomaino, Antonio Pardea, che so avere due nomi, forse Francescantonio, più altri ragazzi di cui si serviva Morelli, oltre al Tomaino e a Pardea”. Morelli è pure indicato da Mantella come il soggetto che prevalentemente trattava il traffico di sostanze stupefacenti per conto del suo gruppo. “Io non ho mai lavorato la droga, per me – aggiunge Mantella – la trattavano Salvatore Morelli, Antonio Pardea e Francesco Macrì, quello che è morto in un incidente stradale. La droga noi la prendevamo da Pasquale Bonavota e da Saverio Razionale che ne trattava tantissima”. Su Salvatore Morelli riferisce anche l’altro pentito, Bartolomeo Arena, il quale lo inquadra come colui che individuava le imprese alle quali chiedere denaro a titolo di estorsione e indicandone come dote posseduta quella della “Stella”. “Morelli – afferma Arena – ha commesso unitamente ai Piscopisani un tentato omicidio ai danni dei fratelli Bellissimo di Soriano. E’ legatissimo a Fiorillo Michele detto “Zarrillo” al punto che quando era fuori quest’ultimo il Morelli era più vicino ai Piscopisani che a Vibo Valentia, dal punto di vista criminale. I Piscopisani si fidavano ciecamente di lui”.

Saro Pugliese

Caccia Saro “Cassarola”. Tra i presunti capi attualmente irreperibili non passa inosservato il nome di Rosario Pugliese, alias “Saro Cassarola”, classe 1966, ritenuto esponente di vertice dell’omonima ‘ndrina operante nel quartiere Affaccio di Vibo. Sul suo conto Andrea Mantella dichiara: “E’ un usuraio, anche se per un periodo è stato sotto usura da parte di Francesco Fortuna, esponente dei Bonavota. Ho saputo che di recente unitamente al figlio ha avuto dei rapporti con Emanuele Mancuso nel traffico di sostanze stupefacenti. So che ha anche un silos per lo stoccaggio di carburanti, anche se non so la zona dove è ubicato. E’ attualmente attivo nel settore dell’onoranze funebri in società con Orazio Lo Bianco, soggetto che ha compiuto numerosi illeciti al cimitero di Vibo, grazie alla compiacenza dei custodi e in particolare di tale Francolino. Nello specifico si appropriavano di cappelle di proprietà di soggetti che si trovavano fuori Vibo e che non le utilizzavano più, per poi rivenderle. Non so – aggiunge Mantella – se Saro Cassarola era ufficialmente socio di Orazio Lo Bianco o se fosse un socio occulto. Ultimamente hanno perso un po’ di potere ed il cimitero è passato in mano a Mommo Macrì (nel caso in cui si deve realizzare una cappella pretende una parte dei proventi a titolo di estorsione per l’esecuzione dei lavori)”. Secondo Mantella, “Saro Cassarola” sarebbe affiliato alla ‘ndrangheta con il grado della “Santa” e sarebbe stato sempre presente alle riunioni della “società maggiore”. Il collaboratore di giustizia lo accusa ance di essere uno dei responsabili dell’omicidio di Antonio Pardea: “Pugliese Rosario e Domenico Piromalli sono responsabili dell’omicidio di Pardea Antonio, avvenuto anche questo negli anni ’80, per via del fatto che aveva una relazione con la moglie di Domenico Piromalli. Il Pardea è stato ucciso all’interno di un’officina. Il fatto – precisa Mantella – mi è stato raccontato dallo stesso Rosario Pugliese, da Carmelo e Paolino Lo Bianco e da mio cognato Franzè Antonio. Per questi omicidi fu data la dote di Sgarrista a Pugliese Rosario, mentre Domenico Piromalli lo era già”.

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Domenico Tomaino

Gli altri latitanti. Nella lista dei ricercati figura un altro esponente delle “nuove leve” dei clan emergenti di Vibo. Si tratta di Domenico Tomaino, alias “il Lupo”, 29 anni di Vibo. Secondo l’accusa sarebbe uno dei componenti della ‘ndrina dei “Pardea-Ranisi”, alle dirette dipendenze di Salvatore Morelli, Domenico Macrì, detto “Mommo” e Francesco Antonio Pardea. Risulta latitante un’altra vecchia conoscenza delle forze dell’ordine: Agostino Papaianni, nato a Joppolo ma residente a Voghera in provincia di Pavia. Già coinvolto in diverse inchieste antimafia, il 68enne sarebbe il referente dei Mancuso nell’area di Ricadi. Di lui parlano diversi pentiti, l’ultimo dei quali è Bartolomeo Arena che sul conto di Papaianni ha dichiarato: “Tuttora è un referente importantissimo dei Mancuso. Per quanto a mia conoscenza, nel corso dei battesimi in carcere, vengono messi in copiata, molto spesso, Luigi Mancuso come capo società e Agostino Papaianni come contabile. Anche questo mi conferma l’importanza ed il rilievo di Papaianni, in quanto una tale posizione non può che essere riservata a soggetti di primo piano”.

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