Cronaca

‘Ndrangheta a Vibo, l’aspirante boss “Mommo” Macrì e la sua politica criminale sanguinaria

Da "azionista" di Andrea Mantella a capo dell'ala militare dei "Pardea Ranisi". La sua scalata criminale raccontata dai pentiti. Il gip: "E' aggressivo e pericoloso"

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All’anagrafe è Domenico Macrì ma nell’ambiente criminale è meglio conosciuto con il nomignolo “Mommo”. Nell’elenco delle 280 persone finite in carcere c’è anche lui, 35 anni di Vibo, ex “azionista” di Andrea Mantella, l’ex boss “scissionista” oggi collaboratore di giustizia. Per gli inquirenti Macrì sarebbe un esponente della ‘ndrina dei “Pardea Ranisi”, uno dei tre gruppi che operano nella città di Vibo. Non uno qualsiasi ma qualcosa di più di un aspirante boss.

Capo dell’ala militare. Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, il gip lo definisce il “direttore del sodalizio”, uno dei capi dell’ala militare, mandante delle azioni di fuoco. Avrebbe avuto il computo di “individuare i bersagli delle attività estorsive e delle azioni ritorsive volte al controllo del territorio, di gestire e pianificare gli agguati, indicando altresì gli obiettivi da colpire impartendo direttive ed ordini agli affiliati sul comportamento da tenere”. Macrì avrebbe “partecipato agli incontri con componenti di altre articolazioni della ndrangheta del Vibonese con i quali elaborava le strategie criminali del gruppo, decidendo sula ripartizione dei proventi di reato e ponendosi quale riferimento generalmente riconosciuto da tutti gli affiliati”. Per gli inquirenti era lui a prendere alcune decisioni di rilievo per la vita della ‘ndrina e a partecipare direttamente, in diverse circostanze, alle azioni delittuose.

Le dichiarazioni dei pentiti. Di lui parlano diversi collaboratori di giustizia. Raffaele Moscato lo inserisce tra i compenenti della ‘ndrina capeggiata dal 78enne Domenico Camillò. Andrea Mantella, nell’interrogatorio 4 agosto 2017, cita Domenico Macri tra i soggetti appartenenti al nuovo gruppo da lui creato, volendo distaccarsi dai Mancuso: “Io, nel corso della mia detenzione a Villa Verde, stavo creando un nuovo gruppo, insieme ai Bonavota e ai Piscopisani, per affrancarmi dai Mancuso e dai Lo Bianco. Presso i locali di Villa Verde ho effettuato rimpiazzi di persone che volevano seguirmi in questo proposito scissionistico dai Mancuso. Fra gli altri ricordo di avere rimpiazzato: Pardea Francesco Antonio (alla presenza di Levato), Morelli Salvatore, Macri Francesco, Macri Domenico, Chiarella Carmelo”. In un altro interrogatorio Mantella riferiva di aver battezzato, tra gli altri, lo stesso “Mommo” che faceva riferimento ai “Pardea Ranisi” e non ai Lo Bianco e che, pertanto, doveva rendere conto (“riferire”) a “Zio Mimmo” (epiteto con cui, in segno di rispetto, veniva chiamato Camillò). “Quelli di cui io mi fidavo di più – precisa Andrea Mantella – erano Salvatore Mantella e Salvatore Morelli, che avevano anche una posizione più elevata nel gruppo, rispetto agli altri. Quello che dava disposizioni era Salvatore Morelli che incaricava questi ragazzi di compiere le azioni delittuose, io non ci parlavo quasi mai con loro”.

Arena e la politica criminale sanguinaria. In questa inchiesta che ha portato in carcere praticamente tutte le “nuove leve” della criminalità organizzata vibonese, Macri è gravemente indiziato di numerosissimi reati commessi in qualità di elemento di vertice della ‘ndrina Pardea: omicidi e tentati omicidi, danneggiamenti, estorsioni consumate e tentate “che ne dimostrano – sottolinea il gip – l’aggressività all’interno della cosca, la pericolosità e l’attualissima operatività criminale”. Sul suo conto riferisce il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena nell’interrogatorio de 5 novembre 2019. Il neo pentito parla di Monmo Macri come esponente di vertice del gruppo formato da lui stesso, dal Macri e da Salvatore Morelli. Secondo Arena la “politica criminale sanguinaria intrapresa da Macrì” sarebbe stata condivisa da Giuseppe Accorinti ma non dal resto del gruppo “in quanto rischiava di incrinare i rapporti dell’intero sodalizio con i Mancuso”. Una strategia inversamente proporzionale a quella “pacifista” portata avanti dal super boss Luigi Mancuso che era riuscito a trovare un’intesa persino con i Bonavota di Sant’Onofrio. “Portava – spiega Bartolomeo Arena – ad avvicinarci ad Accorinti, inviso ai Soriano che erano in quel periodo nostri stabili alleati. Quindi questi “passi” del Macrì ci mettevano in difficoltà e ci esponevano, oltre al fatto che lui stesso rischiava molto, anche se era protetto – perché strumentalizzato – in quella fase dal Saverio Razionale”. In questo contesto si sviluppano le tensioni tra i “Pardea Ranisi” da una parte e il gruppo dei Pugliese “Cassarola” dall’altro sfociato in una serie di tentati omicidi. (CONTINUA)

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