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‘Ndrangheta e politica a Vibo, la Dda: “Giamborino prendeva voti dai clan ed era a loro disposizione”

Dai fascicoli dell'inchiesta emergono i rapporti tra l'ex consigliere regionale di Piscopio e alcuni esponenti delle famiglie di 'ndrangheta di Piscopio e San Gregorio

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Sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Andrea Mantella e Raffaele Moscato ad inguaiare l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino. La sintesi della Direzione distrettuale antimafia è una sola: “Giamborino – scrivono i magistrati – era battezzato, appartenente alla vecchia società di onore a cui la famiglia era appartenuta da generazioni”.

In particolare, “una volta entrato in politica grazie ai voti presi con la cosca, lo stesso si prodigava mettendosi a disposizione della stessa, adottando un sistema di 586 comunicazioni molto cauto, senza entrare in contatto diretto con gli ndranghetisti puri e pur tuttavia spendendosi per favorirne gli interessi in cambio del loro sostegno elettorale”. Addirittura, in una telefonata al nipote, “egli illustrava le caratteristiche della vecchia onorata società, illustrando quelli che erano i precetti morali, e che via via si erano perse nel tempo”.

Un altro riscontro sarebbe stato offerto da Saverio Razionale che, parlando di Pietro Giamborino con il figlio Francesco, medico del Policlinico Gemelli di Roma, alla presenza di altri interlocutori, rispetto al fatto che quest’ultimo aveva cessato i rapporti con lui, mantenendoli con il figlio professionista, sosteneva: “Ti chiama perché sa chi siamo noi, se no non ti chiamava […j ti chiama che prima o poi ha bisogno dite, ti manda qualcuno e si “fotte” il voto”.

Pesano parecchio anche le dichiarazioni di Raffaele Moscato che, in un interrogatorio del luglio 2015, ha affermato che Giamborino “ha vinto le elezioni del 2013 prendendo seicentoventi voti solo a Piscopio, grazie al contributo del collaboratore” e aggiunge che “senza il mio contributo sono passati a centocinquantanove”.

Entrambi i collaboratori sottolineano “la scaltrezza del Giamborino – sostiene la Dda – che, una volta diventato politico, avrebbe utilizzato cautele estreme nelle frequentazioni ufficiali, incontrandosi con il cugino Pino Galati e con Rosario Battaglia, solo nelle ore più tarde, per evitare di essere visto”. Moscato, a tal proposito, racconta che quando “Giamborino vinse le elezioni, si recò alle due di notte a casa di Battaglia, ubriaco, con una bottiglia di champagne per festeggiare”.
In cambio, il neo eletto, “sistemò da un punto di vista lavorativo dei parenti di Battaglia”.

Giamborino, come emerge da una conversazione intercettata, “ogni sera incontrava Pino Galati “il ragioniere”: Aspetto la sera che si ritiri il ragioniere … per vederlo . .. che vuole sempre dirmi qualche cosa . .. e poi chiudo e me ne vado t. ..] che dalla finestra dobbiamo parlare… che c’è quella telecamera là”.

Insomma, una serie di contatti che avrebbero aiutato la Dda a ricostruire il puzzle sfociato nell’operazione che ha portato questa mattina all’arresto dell’ex consigliere regionale.

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