Cronaca

‘Ndrangheta: Andrea Mantella spiega il rapporto fra i clan Mancuso e Lo Bianco

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Le estorsioni a Vibo e gli incontri in ospedale fra i boss, gli attentati a Vena, le “confidenze” di Leone Soriano ed i vertici del casato mafioso di Limbadi e Nicotera

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di GIUSEPPE BAGLIVO

Rivela sin nei particolari molti aspetti sinora solo sfiorati da altre inchieste, il collaboratore di giustizia vibonese Andrea Mantella che ha deciso di “vuotare il sacco” con la Dda di Catanzaro. In primo luogo le sue dichiarazioni permettono infatti di gettare un nuovo “fascio di luce” sulla realtà criminale della città capoluogo – Vibo Valentia – facendo meglio comprendere i rapporti mafiosi esistenti fra il clan Lo Bianco ed il clan Mancuso di Limbadi.

Mantella

Andrea Mantella

Quindi aprono anche la strada al chiarimento di diverse dinamiche mafiose già emerse in parte nell’inchiesta “Nuova Alba” del 2007 sul clan Lo Bianco ma non ancora del tutto esplorate. Mantella, per il ruolo di spicco all’interno della consorteria mafiosa dei Lo Bianco-Barba, potrebbe infatti essere in grado di raccontare fatti e misfatti sia su tutti i personaggi già condannati al termine del processo “Nuova Alba” (ed oggi di nuovo liberi dopo aver scontato pene modeste per il reato di associazione mafiosa), sia di quanti da tale inchiesta ne sono usciti persino con l’assoluzione.

Carmelo Lo Bianco

Carmelo Lo Bianco (cl. ’32)

I Lo Bianco ed il 3% lasciato ai Mancuso sulla città di Vibo. Andrea Mantella nel nuovo verbale di interrogatorio rilasciato al pm Marisa Manzini il 19 luglio scorso, e depositato nel processo “Black money” in corso dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia contro il clan Mancuso, parla del legame “molto forte” esistente da sempre tra il gruppo Lo Bianco e quello Mancuso con il 3% dei proventi estorsivi relativi al territorio di Vibo-città lasciati dai primi ai secondi. In particolare sarebbe stato il boss Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni” (deceduto due anni fa in carcere a Parma), a riconoscere al boss Antonio Mancuso (cl. ’38) di Limbadi tale percentuale sui proventi estorsivi incassati dal gruppo Lo Bianco a Vibo Valentia. I due patriarchi dei rispettivi clan mafiosi, ad avviso di Mantella, quale luoghi dei loro incontri avrebbero scelto, negli anni, il mercato coperto di Vibo (dove Lo Bianco aveva un proprio box adibito alla vendita di formaggi, tanto da essere chiamato anche “U Formaggiaru”), l’hotel 501 e da ultimo l’ospedale di Vibo Valentia.

Ospedale Vibo Valentia

I Lo Bianco e l’ospedale di Vibo. Non una novità, tale ultimo luogo scelto dai due boss, in quanto è già emerso chiaramente nell’inchiesta “Nuovo Alba” il controllo da sempre esercitato dal clan Lo Bianco all’interno dell’ospedale cittadino dove, fra l’altro, lavorano direttamente anche alcuni affiliati alla consorteria criminale. La stessa relazione che ha accompagnato nel 2010 lo scioglimento degli organi di governo dell’Asp di Vibo Valentia per infiltrazioni mafiose ha del resto ben delineato il grado di ingerenza dei Lo Bianco nella sanità vibonese, con il controllo di appalti e forniture sino a contatti compromettenti con medici, infermieri e personale amministrativo. La novità data dalle dichiarazioni di Andrea Mantella risiede nel fatto che il collaboratore spiega ora agli inquirenti come Carmelo Lo Bianco e Antonio Mancuso, approfittando dei permessi concessi loro dai giudici per recarsi in ospedale per motivi di salute, di fatto si sarebbero incontrati pur essendo sottoposti a vincoli per via della sorveglianza speciale.

Giuseppe Mancuso

Giuseppe Mancuso

I vertici del clan Mancuso secondo Mantella. Il collaboratore spiega quindi quelli che a suo avviso sono gli attuali vertici del clan Mancuso, facendo notare agli inquirenti che, pur essendo detenuto da parecchio tempo, Giuseppe Mancuso mantiene tuttora  nel Vibonese un “indiscusso carisma”. Si tratta del boss di Limbadi e Nicotera Marina Peppe Mancuso (cl. ’49), detto “Mbroglja”, arrestato dai carabinieri nelle campagne di San Calogero nel 1997 dopo quattro anni di latitanza e condannato all’ergastolo (poi tramutati in 30 anni di reclusione) al termine del processo nato dall’operazione “Tirreno” scattata nel 1993 ad opera del pm della Dda di Reggio Calabria Roberto Pennisi.

Luigi Mancuso

Luigi Mancuso

Antonio Mancuso

Antonio Mancuso

Gli altri vertici del clan vengono indicati da Andrea Mantella in Luigi Mancuso (cl. ’54), zio di Giuseppe, uscito di galera nel 2012 dopo 19 anni di reclusione (condanne rimediate in “Tirreno” e “Countdown”) e da due anni resosi irreperibile, Antonio Mancuso (cl. ’38), Giovanni Mancuso (cl. ’41, fratello di Luigi e Antonio), Pantaleone Mancuso (cl. ’47, deceduto lo scorso anno in carcere, detto “Vetrinetta”, fratello di Luigi, Antonio e Giovanni), Diego Mancuso (fratello di Giuseppe), Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere” (fratello di Giuseppe e Diego), e Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni” (figlio di Salvatore Mancuso, di recente deceduto, che era a sua volta fratello di Antonio, Luigi, Giovanni e Pantaleone “Vetrinetta”).

BOSS-GIOVANNI-MANCUSO

Giovanni Mancuso

L’usura ed il potere mafioso a Vena. Andrea Mantella nel suo verbale chiama poi in “causa” due personaggi di Vena di Jonadi e Vena Superiore: Salvatore Sorrentino e Mario De Rito. Entrambi sono già stati processati nell’ambito dell’operazione “Odissea”, scattata nel 2006 ad opera della Squadra Mobile di Vibo con il coordinamento dell’allora pm della Dda di Catanzaro Marisa Manzini. Cadute le aggravanti mafiose è stato il gup del Tribunale di Vibo Valentia ad assolvere Sorrentino (unitamente ad altri imputati) al termine di un processo celebrato con rito abbreviato sulla scorta delle dichiarazioni dei testimoni di giustizia Giuseppe Grasso e Francesca Franzè. Mario De Rito è stato invece assolto al termine del processo con rito ordinario e gli sono stati pure restituiti i beni oggetto di sequestro. Sempre Mario De Rito è stato poi condannato in primo grado nel processo “Black money” a 5 anni e 4 mesi, ma il 18 maggio scorso è stato totalmente assolto in appello. Andrea Mantella spiega ora agli inquirenti che Giovanni Mancuso sarebbe stato solito dare soldi ad usura tramite Salvatore Sorrentino e Mario De Rito. Il collaboratore di giustizia afferma di sapere “con certezza” tale circostanza in quanto Mario De Rito viene indicato dal collaboratore come suo “delegato” sul territorio di Vena di Jonadi e soggetto al quale vrebbe affidato “attentati e danneggiamenti sul territorio”. Al tempo stesso, ad avviso di Mantella, Mario De Rito – indicato come cognato di Salvatore Mantella, cugino di Andrea – avrebbe collaborato con Giovanni Mancuso nell’attività di usura.

Leone Soriano

Leone Soriano

Leone Soriano e gli attentati all’imprenditore Castagna. Secondo Andrea Mantella, “un figlio o un parente stretto” dell’imprenditore Antonino Castagna (imputato nel processo “Black money”) avrebbe subìto un attentato alla propria abitazione fatta oggetto di colpi d’arma da fuoco. Sarebbe stato Leone Soriano di Pizzinni, frazione di Filandari, a raccontare ad Andrea Mantella – durante un comune periodo di detenzione nel carcere di Cosenza – che i Soriano avevano compiuto tale attentato allo scopo di colpire il boss Antonio Mancuso al quale Castagna sarebbe stato legato. Tale danneggiamento, stando al racconto del collaboratore di giustizia, sarebbe nato da un attrito fra il clan Soriano ed il clan Mancuso in risposta al ruolo predominante che i Mancuso avrebbero continuato ad esercitare a Vibo e dintorni.

Pantaleone Mancuso

Pantaleone Mancuso

Antonio Maccarone ed il villaggio con l’indicazione sbagliata. Rispondendo ad una domanda del pm Marisa Manzini, Andrea Mantella ha infine spiegato di aver incontrato nel carcere di Catanzaro, in occasione dei colloqui con i rispettivi avvocati, Antonio Maccarone con il quale si sarebbero presentati. “Di Maccarone – ha aggiunto Mantella – so soltanto che era il genero di Vetrinetta ed aveva un villaggio turistico dalle parti di Vibo Marina o Tropea”. In realtà il villaggio turistico si trova a Capo Vaticano ed è stato dissequestrato e restituito ai Maccarone. Antonio Maccarone (cl. ’79), di Ricadi, genero del boss Pantaleone Mancuso, cl. ’47, (quest’ultimo deceduto ad ottobre in carcere), è stato assolto il 29 luglio 2014 dal gup distrettuale, al termine del processo celebrato con rito abbreviato, dall’accusa di associazione mafiosa. Il pm aveva chiesto per lui la condanna a 5 anni e 6 mesi di reclusione ed ha poi appellato tale assoluzione. I 18 maggio scorso Antonio Maccarone è stato però assolto anche dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Pure in questo caso la pubblica accusa aveva chiesto per l’imputato la condanna a 5 anni e 6 mesi di reclusione.

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