Le confessioni di Petrini e la doppia versione sul giudice “massone” di Catanzaro

Emergono nuovi dettagli dai verbali resi dall’ex presidente della Corte d’Appello coinvolto in "Genesi", l’inchiesta sui processi "aggiustati" a Catanzaro

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Il tutto e il contrario di tutto. Prima le confessioni, poi la marcia indietro clamorosa. Marco Petrini tira in ballo un altro giudice della Corte d’Appello di Catanzaro. Lo definisce “massone” perché iscritto alla sua stessa loggia e anche “corrotto” in quanto destinatario di una presunta proposta di denaro per accogliere l’istanza di ricusazione formulata da un noto avvocato catanzarese. Prima lo accusa e poi lo assolve in una doppia versione che non sembra convincere i magistrati della Procura di Salerno, titolari della clamorosa inchiesta denominata “Genesi” sui processi “aggiustati” a Catanzaro.

La prima versione. Nell’interrogatorio reso dinnanzi ai pm salernitani il 25 febbraio scorso poco prima dell’emergenza Coronavirus il nome del giudice “massone” e “corrotto” viene pronunciato più volte come quelli di altri magistrati in servizio nel distretto di Catanzaro. Il procuratore aggiunto di Salerno Luca Masini riempie così un altro verbale che lascia presagire sviluppi giudiziari sempre più clamorosi. Da quanto emerge Petrini dà l’impressione di essere solo la punta di un iceberg in un sistema di corruzione molto più esteso di quanto si possa immaginare. L’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro si sofferma su un presunto accordo corruttivo che avrebbe riguardato un noto avvocato catanzarese e altri suoi due colleghi. Petrini fa nomi e cognomi, gli inquirenti mettono a verbale. Al centro della vicenda un procedimento di ricusazione di un giudice del Tribunale di Catanzaro che sarebbe stato trattato proprio dalla sua sezione: denaro promesso dall’avvocato al collega di Petrini in caso di accoglimento dell’istanza. Una vicenda che viene collocata intorno al 2017 e che finisce, tra l’altro, in Cassazione con il ricorso (accolto) della Procura generale.

L’altra versione. Confidenze smentite quasi due mesi dopo in un altro interrogatorio che avviene con collegamento a distanza per via dell’emergenza Coronavirus in atto. E’ il 17 aprile, Petrini riempie un altro verbale ma la storia che racconta è diversa. Riferendosi al collega che, precedentemente, aveva accusato di essere “massone” e “corrotto” spiega agli inquirenti: “Non mi fece presente – precisa – alcun tipo di proposta illecita ricevuta ma si limitò a farmi presente la insistenza di questi (l’avvocato n.d.r.)”. Un dietrofront certificato dalla successiva dichiarazione resa ai magistrati salernitani: “Escludo che risponda a verità quanto da me dichiarato il 25 febbraio 2020 a proposito della partecipazione del dottor… e del dottor… all’accordo corruttivo sotteso all’accoglimento dell’istanza di ricusazione. Anzi escludo di aver reso dichiarazioni in tal senso”. Ma come è possibile se è stato tutto verbalizzato? “Se le dichiarazioni sono state verbalizzate evidentemente saranno state rese ma – sottolinea Petrini smentendo se stesso – resta il fatto che conformemente all’impegno assunto all’inizio del presente atto e alla mia volontà di purificarmi dalle mie colpe passate non posso insistere in accuse o in dichiarazioni che in questo momento trovo prive di fondamento”.

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