Cronaca

“Nemea”, regge l’inchiesta contro il clan Soriano di Filandari: fermi convalidati

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Restano in carcere i principali indagati arrestati nel blitz condotto dai carabinieri di Vibo. Torna in libertà Caterina Soriano mentre si attende il verdetto per Emanuele Mancuso

di MIMMO FAMULARO

Regge l’inchiesta dei carabinieri contro il clan Soriano di Filandari. Il gip di Vibo Valentia ha infatti convalidato cinque dei sei fermi per i quali aveva competenza applicando la misura dalla custodia cautelare in carcere nei confronti di colui che è ritenuto il capo del clan, Leone Soriano, 52 anni di Pizzinni di Filandari (difeso dagli avvocati Diego Brancia e Sergio Rotundo), del suo braccio destro Francesco Parrotta, 35 anni di Jonadi (avvocato Giovanni Vecchio), dell’altro braccio operativo Giacomo Cichello 31 anni di Filandari, ed anche nei confronti di Luca Ciconte 26 anni di Soriano e di Graziella Silipigni 47 anni di Filandari (difesi dall’avvocato Daniela Garisto). L’unico fermo non convalidato è quello della figlia di Graziella Silipigni, Caterina Soriano, 28 anni di Filandari. Nei suoi confronti il gip non ha emesso alcuna misura cautelare ordinando l’immediata liberazione (era ai domiciliari). Si attende ora il verdetto del gip di Reggio Calabria dove è comparso l’altro indagato, Emanuele Mancuso, 30 anni di Nicotera (avvocato Francesco Sabatino).

Graziella Silipigni

Caterina Soriano

Gli interrogatori di garanzia. Hanno fatto scena muta davanti al gip di Vibo Valentia sei delle sette persone fermate dai carabinieri nell’ambito dell’operazione “Nemea”. Dopo il presunto boss Leone Soriano,  Francesco ParrottaGiacomo Cichello e Luca Ciconte (fidanzato della nipote di Leone Soriano, Caterina e presunto gestore delle armi e della droga) (LEGGI QUI), questa mattina è toccato alle donne, ovvero a Graziella Silipigni, 47 anni, cognata di Leone Soriano e moglie di Roberto, scomparso nel 1996, e alla figlia Caterina 28 anni. Anche loro due si sono avvalse della facoltà di non rispondere. In seratail  gip Graziamaria Monaco ha sciolte le riserve convalidando – come detto – cinque dei sei fermi e applicando la misura della custodia cautelare in carcere per i principali indagati dell’inchiesta. 

Emanuele Mancuso

La posizione di Emanuele Mancuso. Se i Soriano hanno optato per il silenzio, diversa si è rivelata la strategia difensiva di Emanuele Mancuso, 30 anni di Nicotera. Il giovane, fermato alla stazione ferroviaria di Villa San Giovanni, è comparso davanti al gip di Reggio Calabria competente per territorio. Contrariamente agli altri fermati, Mancuso (difeso dall’avvocato Francesco Sabatino) ha risposto alle domande del gip Fabiano e del pm della Dda di Reggio Calabria Di Palma contestando le accuse e cercando di chiarire la propria posizione. Diversi gli addebiti che gli inquirenti muovono nei suoi confronti. Il figlio del boss Pantaleone Mancuso, alias l’ingegnere, è infatti accusato, in concorso, con Leone Soriano e Francesco Parrotta di aver fatto esplodere una bomba-carta nel giardino di casa dell’imprenditore Antonino Castagna e, sempre in concorso con Leone Soriano e Francesco Parrotta, di aver esploso colpi di pistola contro il distributore di benzina “Esso” della famiglia Pasqua. Tra le varie contestazioni figura anche un furto da 100mila euro compiuto nel gennaio scorso in una gioielleria di Nicotera. Emanuele Mancuso ha respinto sostanzialmente ogni addebito e il gip si è riservata ogni decisione in ordine alla convalida dell’arresto e all’eventuale misura cautelare da applicare. 

Leone Soriano

Operazione “Nemea”. Il blitz contro i Soriano di Filandari è scattato all’alba dello scorso 8 marzo. I carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri, hanno eseguito sette fermi nell’ambito di un’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Annamaria Frustaci. Le accuse, a vario titolo, vanno dall’estorsione al danneggiamento, dalla detenzione di armi e munizioni alla detenzione di droga ai fini di spaccio. Reati aggravati dal metodo mafioso. L’inchiesta fa luce su una serie di intimidazioni messe a segno tra Filandari e Jonadi in un arco temporale piuttosto ristretto che va da fine novembre a fine febbraio. Una dozzina gli atti intimidatori ricostruiti dai carabinieri guidati sul campo dal colonnello Luca Romano e dal maggiore Valerio Palmieri. Tra i tanti episodi oggetto del fermo, inquietante l’idea di compiere un attentato ai danni della caserma dei carabinieri di Filandari.

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