Cronaca

Processo a due sacerdoti del Vibonese: “Don Graziano fece il nome di Luigi Mancuso”

A raccontare la sua versione dei fatti, in udienza, è stata la presunta vittima della presunta tentata estorsione: "Hanno fatto il gioco delle tre carte"

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Una storia che tira in mezzo due preti del Vibonese, il “capo dei capi” Luigi Mancuso, delle presunte avance a una donna con disabilità e tanto altro. Stiamo parlando del processo a don Graziano Maccarone (ex segretario del vescovo di Mileto Luigi Renzo) e don Nicola De Luca, imputati per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Una vicenda di cui si è parlato più volte sulla stampa ma che adesso è stata raccontata, offrendo la sua versione dei fatti, dalla presunta vittima della presunta tentata estorsione: Roberto Mazzocca, interrogato nel corso dell’udienza che si è tenuta ieri al tribunale di Vibo.

Chi è Roberto Mazzocca.

Il signor Mazzocca è un ex imprenditore che nella sua vita ha sporto numerose denunce, contribuendo a diverse indagini – l’ultima in ordine cronologico Rinascita Scott – anche in quanto testimone di alcune vessazioni. “In un’indagine – ha detto nel corso dell’udienza rispondendo alle domande degli avvocati delle parti offese Michele Gigliotti e Daniela Scarfone  – ero stato inserito come probabile collaboratore“. Un rapporto con le forze dell’ordine non ben visto da qualcuno. Per questo, tra le altre cose, ha subito anche delle aggressioni. L’ultima poco prima del lockdown, i primi di gennaio del 2020, in cui – ha raccontato – “stavo andando a pescare, quando sono sceso dalla macchina mi si è avvicinato un signore e mi ha chiesto se avevo da accendere. Ho poggiato la canna da pesca e un altro uomo lì presente mi ha detto ‘fatti i cazzi tuoi che hai parlato assai’ e mi ha dato un cazzotto che mi è costato 5 punti“.

I problemi economici dopo le denunce.

Nel processo a don Maccarone e don De Luca Mazzocca è parte offesa insieme alle sue due figlie. I fatti oggetto del procedimento prendono il via a causa di alcuni suoi problemi economici nati nel 2009, nel mezzo della crisi economica mondiale, soprattutto dopo la chiusura del suo ristorante a Parghelia, in provincia di Vibo. Cattiva gestione? Non proprio. “Ho denunciato un pregiudicato che è venuto a chiedermi la tangente – ha detto davanti al collegio presieduto dal giudice Tiziana Macrì – e siccome Parghelia è un piccolo paese sono stato additato come un pentito, uno vicino alle forze dell’ordine, e nessuno è più venuto da me“. Con tanto di distruzione di cartelloni pubblicitari riguardanti la sua attività. Per arredare quel locale, dove era sorto il ristorante, gli era stato presentato Sergio Politi (non imputato all’interno del processo), il quale “prese a cuore la mia situazione e mi fornì 16-17mila euro di materiale“.

L’aiuto chiesto alla Caritas vibonese.

Quella cifra venne in parte ripagata, ma non del tutto. Mazzocca riesce in un primo momento a prendere tempo per saldare il debito grazie alla generosità di don Nicola De Luca, incontrato presso la chiesa del Rosario a Tropea: “Ci siamo visti a fine luglio 2012. Io non chiesi soldi, mostrai l’atto di pignoramento e chiesi aiuto, e don Nicola mi diede appuntamento per il giorno dopo”, quando poi “mi diede una busta con dentro un assegno e del contante, erano circa 2mila euro“. Soldi che, ha precisato, non gli furono mai chiesti indietro. Passa poi l’estate e il creditore chiede nuovamente di saldare. Si accordano per chiudere con 9mila euro. Ma dove trovarli? Mazzocca torna allora da don Nicola che “mi disse di andare alla Caritas per parlare con don Fortunato Figliano”. “Don Fortunato – ha raccontato Mazzocca rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro Irene Crea – mi disse che per accedere ai finanziamenti Caritas dovevo sistemare alcune cose burocratiche, che mi potevano dare al massimo 6mila euro e ci volevano minimo due mesi”. In sintesi: i soldi non bastavano e il tempo era troppo. “C’è qualche altra possibilità?” chiese allora Mazzocca, a cui risposero di andare “lì vicino che c’era l’ufficio del vescovo“, monsignor Luigi Renzo (completamente estraneo alle indagini e al processo).

L’incontro con don Graziano.

È lì che conosce il segretario del vescovo, don Graziano Maccarone, a cui “spiegai la situazione e dissi che se non avessi risolto la mia famiglia sarebbe stata distrutta. Lui mi chiese il numero di telefono del creditore, si allontanò e tornò dopo pochi minuti”. Il risultato? “Con fare gentile mi disse che aveva risolto tutto. Io pensavo stesse scherzando, non era possibile… e mi disse che avrebbe consegnato al creditore 6.600 euro”. Quei soldi, quindi, Mazzocca non li ha mai avuti in mano. L’operazione prevedeva – secondo quanto riportato dalla parte offesa – che Maccarone “avrebbe estinto il debito con quella somma, che quindi non avrei dovuto dare altri soldi a Politi perchè lo aveva estinto come Caritas, e che io avrei dovuto restituire esclusivamente 3mila euro, a 100 euro al mese, a partire dalla Pasqua successiva“. Quest’ultimo passaggio, in particolare, è oggetto di contestazione e se ne discuterà nuovamente all’interno del processo.

“Così nasce il gioco delle tre carte”.

Dopo che furono consegnati i soldi le fu chiesta la restituzione?” ha chiesto allora il pm della Dda di Catanzaro. “A quel punto – la versione di Mazzocca la cui veridicità, naturalmente, dev’essere oggetto di accertamento giudiziario – nasce quello che io chiamo gioco delle 3 carte: mi chiama Politi (il creditore, ndr) il quale mi disse che don Graziano il giorno dopo che aveva pagato aveva voluto indietro tutti i soldi, perché i suoi cugini gli facevano pressione, e lo aveva pregato di ridarglieli”. Perchè “gioco delle 3 carte“? Perchè da quel momento in poi sarebbero stati in due, secondo la versione della parte offesa, a chiedere indietro il denaro: da una parte don Maccarone, dall’altra il creditore.

Il rapporto tra don Graziano e la figlia di Mazzocca.

I rapporti con don Graziano poi si incrinano, qualcosa va storto. La ragione? Non è dato saperla, secondo Roberto Mazzocca “all’inizio di tutta questa storia” c’è un presunto rapporto, relativamente intimo, tra il sacerdote e una delle figlie della parte offesa, affetta da grave disabilità. “Una sera c’era una messa a Parghelia a cui parteciparono il vescovo e don Graziano. In quell’occasione notai uno sguardo strano, non so neanch’io, tra don Graziano e mia figlia. Nel rientro a casa chiesi spiegazioni a mia figlia e lei mi disse o mi mostrò un messaggio in cui diceva ‘girati che ti voglio vedere il sedere’”. Ci sarebbe poi stata una fitta corrispondenza di circa 3mila messaggi tra il sacerdote e la donna, un presunto “scambio di biancheria intima tramite don Nicola allo stesso don Graziano” e, afferma sempre Mazzocca – anche questo oggetto di accertamento giudiziario – “alla fine è sempre un prete che queste cose non doveva farle e tutto è scoppiato quando io ho interrotto perchè si sarebbero dovuti incontrare in un albergo di Pizzo“.

Il “capo dei capi” Luigi Mancuso e i “cugini di Nicotera”.

Da quel momento, secondo Mazzocca per via di questo rapporto troncato, don Maccarone avrebbe iniziato a chiedere con insistenza la restituzione del denaro. Fin quando “andammo a casa di don Nicola” per raggiungere un accordo e lì “tirò fuori delle persone delle quali rimasi esterrefatto. Che lui, don Graziano, era parente o cugino o cosa del capo dei capi, ‘don’ Luigi Mancuso, e che i suoi cugini erano persone di una certa posizione non indifferente che mi avrebbero fatto cose poco piacevoli se non avessi restituito i soldi. Quelle parole mi hanno suscitato paura perché mi ha fatto nomi non indifferenti”. Ma lo stesso Mazzocca, spiega, non sapeva a chi restituire la somma: “A don Graziano o al creditore che diceva che don Graziano aveva voluto indietro i soldi?”. Oltre, ovviamente, ad aver bisogno di tempo: “Uno che si rivolge all’usura lo sa, ma uno che si rivolge alla Caritas non può pensare che il giorno dopo gli si chiede di restituire i soldi perchè i loro parenti erano intervenuti“. Ma che somma avrebbe chiesto don Graziano? “Si contraddiceva. Un po’ diceva ‘dammi i soldi che ho dato al Politi’, un po’ ‘dammi almeno i 3mila dei cugini’, a volte ‘dammi 2 o 5’. Però li voleva immediatamente“.

Il controesame e le opposizioni.

Questa, in ogni caso, è la versione della parte offesa che naturalmente dovrà essere verificata – insieme all’accusa sostenuta dalla Dda di Catanzaroall’interno del processo. Nella giornata di ieri, infine, ci sono stati anche i contro esami degli avvocati Giovanni Vecchio – difensore di don Nicola De Luca il quale “non mi ha mai minacciato e non mi ha mai chiesto indietro i soldi” – e degli avvocati Nicola D’Agostino e Fortunata Iannello, difensori di don Graziano Maccarone. L’avvocato D’Agostino ha voluto puntualizzare alcuni passaggi delle vicende economiche e ha approfondito il ruolo di un finanziamento regionale ricevuto dal Mazzocca; l’avvocato Iannello ha invece insistito su alcune vicende personali della parte offesa che, però, erano completamente estranee al processo, suscitando numerose e puntuali opposizioni degli avvocati Gigliotti e Scarfone spesso accolte dal collegio giudicante.

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