Cronaca

Rinascita, il pentito Arena: “Nel 2019 abbiamo simulato nostra scomparsa per lupara bianca”

Dai rapporti con Milano per la droga alle soffiate sulle "imminenti operazioni". Il pentito vibonese racconta di quando gli venne detto "se te la senti sai che facciamo..."

rinascita bartolomeo arena

C’è anche il racconto di una scomparsa per lupara bianca, “simulata”, nella parole del pentito vibonese Bartolomeo Arena interrogato oggi nel corso del maxi processo Rinascita Scott. Il collaboratore 44enne, vicino alla giustizia da ottobre 2019, ha infatti raccontato nell’aula bunker di Lamezia Terme di quando “nell’aprile del 2019 io e Francesco Antonio Pardea abbiamo simulato la nostra scomparsa“. Come mai questa decisione? “Lui era venuto a sapere che c’era un’imminente operazione su Vibo, ed era preoccupato che venisse colpito da un’ordinanza per le dichiarazioni di Andrea Mantella“.

La lupara bianca “simulata”.
Una preoccupazione che non condivideva il futuro pentito – “io onestamente non ci avevo avuto a che fare, quindi non mi preoccupavano le dichiarazioni di Mantella” – che però accetta la proposta di Pardea: “Mi venne a trovare e mi disse ‘se te la senti sai che facciamo, ce ne andiamo tutti e due… io c’ho mio zio scomparso, a te è scomparso tuo papà… se ce ne andiamo credono effettivamente che siamo scomparsi pure noi di lupara bianca e nel frattempo ci andiamo a sbrigare quello che ci dobbiamo sbrigare al Nord”.

I rapporti con Milano per lo spaccio di droga.
La scelta del Nord, spiega Arena, non era causale: “Noi con il Nord avevamo iniziato ad avere dei rapporti con la zona di Nerviano (in provincia di Milano, ndr) – racconta rispondendo al pm della Dda di Catanzaro Andrea Mancuso – perché mandavamo della marijuana per essere venduta“. Quindi l’idea, spiega, era quella di trasferirsi di nascosto e “tenersi la nostra parte dello spaccio”. Per questo “abbiamo lasciato la macchina al bivio dell’Angitola e ci è venuto a prendere un ragazzo che ci ha accompagnato fino a Milano. Siamo saliti là e abbiamo visto com’è la situazione. Pardea aveva visto che era un territorio scoperto, perché l’unico ‘responsabile’ di quella zona si trovava detenuto in carcere”.

“Stavano per uccidere Lo Bianco a causa della nostra scomparsa”.
Iniziano quindi ad avere contatti, secondo quanto riferisce il collaboratore, per attivare una ‘ndrina in quella zona. Non tutto, però, va secondo i piani: “Mentre eravamo a Nerviano eravamo rimasti in contatti stretti con alcuni membri di giù, ma pochissimi, infatti fui io che successivamente ho voluto avvisare Antonio Macrì perché Pardea non voleva avvisare nemmeno lui”. Lo voleva avvisare, sottolinea, “perché mi dispiaceva, sapevo che se la sarebbe presa”. E anche perchè “mi immaginavo che nonostante ci fossero un po’ di attriti con i miei cugini magari qualcosa avrebbero fatto lo stesso”. E in effetti, evidenzia, “meno male che abbiamo chiamato Antonio Macrì“. Come mai? “Perché poi quando siamo tornati, a maggio, lui si è innervosito perché ci ha detto che i nostri cugini, insieme ad altri, stavano per uccidere Paolo Lo Bianco perché pensavano fosse responsabile della nostra scomparsa“.

Il “patto di sangue”.
“Gli altri membri del gruppo come si pongono rispetto a questo allontanamento?” chiede allora il pm Andrea Mancuso. “Quando noi rientriamo – risponde Bartolomeo Arena –  con i nostri cugini era già un periodo che ci eravamo un po’ allontanati. Certamente però anche gli altri si erano un po’ offesi, più che altro Salvatore Morelli e Domenico Macrì se l’erano presa, ma in particolar modo Morelli con Pardea perché con lui avevano un rapporto molto stretto, avevano addirittura fatto un patto di sangue“.

Il gruppo ‘ndranghetistico non più coeso.
Cominciò quindi un allontanamento tra Pardea e Morelli, “che tutti dicevano che ero stato io che li avevo allontanati, ma – ci tiene a precisare il pentito – io non sono mai stato artefice di nulla: ormai sono un collaboratore di giustizia, ma prima mai ho avuto  qualcosa contro i miei cugini, assolutamente“. Da quel momento il gruppo ‘ndranghetistico vibonese, di cui faceva parte Bartolomeo Arena, non è più coeso. E sarà anche questo uno dei fattori che porterà pochi mesi dopo, ad ottobre, alla scelta di collaborare con la giustizia. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.

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