Rifiuti tossici nel Vibonese, una presunta “terra dei fuochi” ancora senza risposte

Un'inchiesta a più puntate di Zoom24 ha ricostruito quanto successo anni fa, scoprendo che servizi segreti, indagini e progetti pubblici milionari non sono riusciti a fornire le risposte che i cittadini aspettano ormai da 6 anni

rifiuti tossici vibo

Non si muore solo di Coronavirus, in Calabria. Si muore più del dovuto, anche nel territorio vibonese, per tumori di vario genere. Forse. La parola “forse” è la chiave di tutto il discorso. Documenti dei servizi segreti, indagini, studi scientifici e progetti pubblici milionari non sono infatti riusciti a dare una risposta a una “semplice” domanda: nella provincia di Vibo Valentia, in particolare nella zona delle Serre, sono stati interrati rifiuti tossici? Era il 2014 quando vennero desecretati dei documenti del Sisde – un servizio segreto italiano – in cui si parlava della possibilità di un traffico di rifiuti tossici nel Vibonese. Abbiamo ricostruito quanto accaduto e abbiamo scoperto che, ormai, sono passati più di sei anni (!) senza che i cittadini abbiano avuto una risposta. Il tutto nel silenzio di politica, istituzioni e forze dell’ordine.

Cosa dicono i documenti dei servizi segreti.
Gli atti indicano ben più di una semplice possibilità, in realtà. Il primo atto desecretato, datato 3 ottobre 1994, riporta la notizia di “primi incoraggianti riscontri info-operativi riguardanti le notizie di cui alla nota a seguito del 4 agosto 1994, circa un presunto traffico internazionale di scorie tossico-radioattive gestito dalla ‘ndrangheta“. Aggiungendo, poi, che “informatori di settore non in contatto fra loro habent riferito che: le discariche presenti in Calabria, sarebbero parecchie site, oltre che in zone aspromontane, nella cosiddetta zona delle Serre (Serra San Bruno, Mongiana ecc.) nonché nel Vibonese”. A questo si aggiunge un secondo documento, datato 20 febbraio 1995, in cui si afferma che “esiste un grosso traffico a livello nazionale riguardante lo smaltimento di sostanze tossico-radioattive gestito dalla ‘ndrangheta. Tra la Calabria e il Nord Italia vi sono decine di discariche abusive, parte già individuate, che custodiscono circa settemila fusti di sostanze tossiche”. Citando poi espressamente “Serra San Bruno” e “Fabrizia“, e non mancando di individuare anche materiale specifico: “Sempre in detto contesto est peraltro emerso che oltre alle sostanze tossiche detto traffico comprenderebbe anche il contrabbando di uranio rosso“.

Il silenzio assordante della Prefettura.
Sono parole pesanti quelle emerse negli atti desecretati. Tanto che, sei anni fa, avevano provocato parecchia agitazione tra cittadini, politica e associazioni. Il risultato? Tante parole, pochi fatti. Il punto centrale è questo: dopo tanti anni non ci sono ancora risposte certe, a causa della mancata trasparenza e della inquietante poca preoccupazione delle istituzioni. Appena resi pubblici i documenti del Sisde, infatti, la Prefettura di Vibo (guidata allora da Giovanni Bruno) aveva annunciato l’istituzione di una task force per “andare a fondo sulla questione”. I frutti di questa “task force”? Nessuno, ci si è limitati ad annunciarla. E non solo non si è fatto nulla, ma a qualunque richiesta fatta successivamente nel tempo (dal comitato “Pro Serre” pochi mesi dopo, dal M5S nel 2017 e infine da noi di Zoom24 nel 2020) la risposta della Prefettura è stata sempre la stessa: silenzio assoluto. “Ci chiediamo se dobbiamo attenderci ancora qualcosa – affermò all’epoca il comitato “Pro Serre” – o se si sta solo tergiversando affinché cali il definitivo oblio sui fatti emersi“. Sei anni dopo, la domanda è ancora aperta.

Le indagini secretate senza alcuna ragione.
Ma non è solo la Prefettura a essere rimasta in silenzio. Nel 2014 si decise infatti di far ricorso al progetto Miapi (“Monitoraggio e Individuazione di Aree Potenzialmente Inquinate”), un programma finanziato con oltre 10 milioni di euro. Se n’è occupato il reparto del Noe dei carabinieri di Reggio Calabria, con il supporto dell’Arpacal. I risultati delle loro indagini? Sconosciuti. Abbiamo chiesto all’Arpacal, ma loro erano – appunto – solo di supporto “esterno”. Abbiamo chiesto al Noe di Reggio, ma l’attuale comandante non ne sa nulla essendo arrivato successivamente. Abbiamo chiesto all’allora comandante del reparto ambientale dei carabinieri, ma neanche lui ha saputo dirci alcunché. Eppure l’obiettivo del progetto Miapi era proprio quello di fare chiarezza, dare risposte, oltre che di dar vita a “una banca dati che sarà condivisa anche con gli enti locali”. Perchè i risultati sono rimasti “secretati”, mai resi pubblici, e nessuno ne sa nulla?

Analisi sui terreni mai effettuate?
Gli unici risultati emersi sono datati aprile 2015, quando i sindaci di Mongiana e Fabrizia avevano chiesto l’esito delle indagini al Noe di Reggio Calabria, il quale – tramite il suo comandante Paolo Minutoli – aveva risposto che non erano emersi siti contaminati. Tutto risolto, allora? In realtà no, per due ragioni. In primo luogo, infatti, i primi cittadini avevano chiesto di poter avere il report delle indagini. Per poter sapere quali zone erano state controllate, con quali strumenti, quale tipo di analisi: per poter, insomma, verificare che fosse realmente tutto risolto. Quel report, hanno spiegato ai nostri microfoni, non è mai arrivato. In secondo luogo, dopo le comunicazioni del Noe, l’allora direttrice generale dell’Arpacal Sabrina Santagati aveva dichiarato a “Radio Serra 98” che “dove per motivi tecnici con l’elicottero non si può arrivare, noi andremo fisicamente sul terreno con attrezzature altamente sofisticate e faremo dei rilievi a terra“, per “approfondire ancora e perlustrare altre aree”. Il progetto Miapi aveva infatti un forte limite di analisi nelle zone di montagna: erano esclusi dalle analisi i centri abitati e le aree con pendenze superiori al 15 per cento. La sua, ci ha spiegato l’Arpacal, era solo una proposta – basata su esigenze reali – a cui però non è mai stato dato seguito. Così come anche, nel 2016, un laboratorio accreditato dal Ministero si era proposto per fare le analisi di acque, vegetazione e prodotti agricoli. Dopo una prima riunione operativa, anche in quel caso, non si fece poi nulla.

Nelle Serre vibonesi si muore di più (?).
Task force annunciate e mai entrate in funzione, indagini parziali con risultati mai pubblicati, diverse richieste di informazioni a cui si è risposto sempre con il silenzio. Come mai tanta ambiguità in una questione che richiederebbe, al contrario, la massima trasparenza? A ciò si aggiunge un altro dato: uno studio preliminare del 2016 dell’Istituto superiore di Sanità parla, in un’analisi delle aree citate dai documenti del Sisde, di una “ben documentata sovra mortalità alla quale concorrono in modo particolare i tumori totali, le cardiopatie, il diabete e alcune patologie neurodegenerative, respiratorie e digerenti”. Mentre da una parte si muore di più, quindi, dall’altra non si è mai approfondito seriamente il problema. Ma cosa dice esattamente quello studio? E, dopo la sua pubblicazione, la politica ha preso provvedimenti? L’Azienda sanitaria ha fatto qualcosa, ha iniziato a raccogliere dati sui tumori? Domande a cui risponderemo domani, nella seconda parte di questa inchiesta targata Zoom24.

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