Un “cartello” di imprese colluso con la ‘ndrangheta, l’elenco di tutte le gare pilotate

Nell'inchiesta che svela una sistematica frode ai danni della Regione e della Comunità europea, coinvolti 57 imprenditori e 11 funzionari pubblici. Truccati appalti per oltre 100 milioni di euro

E’ la prima grande operazione dopo il lockdown. Come dire: la ricreazione è finita e il segnale arriva dal blitz coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che in codice è stato denominato “Waterfront”. Si tratta di un’inchiesta che costituisce l’epilogo delle complesse indagini condotte dal Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, unitamente al Servizio Centrale Ico. Coinvolti 57 imprenditori facenti parte, a vario titolo, di un illecito cartello composto da molteplici imprese, capace di aggiudicarsi – attraverso turbative d’asta aggravate dall’agevolazione mafiosa – almeno 22 gare ad evidenza pubblica, in sistematica frode ai danni della Regione Calabria e della Comunità Europea.

Appalti pilotati. Le gare turbate e investigate dai militari del Gico, bandite tra il 2007 e il 2016 dalle stazioni appaltanti dei Comuni di Gioia Tauro e Rosarno, nonché dalla Suap (Stazione Unica Appaltante) di Reggio Calabria, hanno riguardato appalti per un valore complessivo superiore a 100 milioni di euro. Nel dettaglio, le indagini – corroborate da consulenze tecniche all’uopo disposte dalla Dda hanno accertato: la turbativa di 15 gare d’appalto – tra il 2014 e il 2016 – indette per la realizzazione di grandi opere pubbliche nei comuni di Polistena, Rizziconi, Gioia Tauro, Gerace, Reggio Calabria, Santo Stefano in Aspromonte, Maropati, Grotteria, Galatro, San Giorgio Morgeto, Siderno, per un valore di oltre 58 milioni di euro. “Al riguardo – sostengono gli inquirenti – è stato individuato un illecito cartello costituito da 43 imprese aventi sede in diverse regioni – articolato in cordate (calabrese, romana, toscana, siciliana e campana) – che hanno partecipato – a vario titolo – ai pubblici incanti investigati, determinandone indebitamente l’esito, attraverso la presentazione di offerte precedentemente concordate, garantendo, in tal modo, l’aggiudicazione degli appalti a una delle imprese del cartello. Anche laddove il richiamato cartello non fosse riuscito vincitore, venivano messe in atto manovre – sotto forma del subappalto o della procedura di nolo – al fine di controllare la gara e la conseguente esecuzione dei lavori affidata, comunque, alle imprese delle varie cordate”.
Gli inquirenti hanno accertato anche la turbativa di sette gare d’appalto, conseguenti allo stanziamento – tra il 2007 e 2013 – di fondi comunitari per un importo complessivo di circa 42 milioni di euro, destinati alla riqualificazione delle aree urbane di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando, e dei relativi lungomare, in attuazione di Progetti Integrati di Sviluppo Urbano (Pisu) previsti dal “POR Calabria FESR 2007/2013 Asse VIII Città Obiettivo Specifico 8.1. “Città e Città ed Aree Urbane”. “Le condotte delittuose – secondo l’ipotesi accusatoria – sono risultate aggravate dalla finalità di agevolare l’attività della ‘ndrangheta, nella sua articolazione denominata cosca “Piromalli” di Gioia Tauro (RC) che si è assicurata una rilevante “tangente ambientale”, garantendo la realizzazione dei lavori. In questo sistema, sostenuto da un collante composito fatto di imposizione ‘ndranghetistica e collusione, lo scopo perseguito dal sodalizio criminale è stato quello di garantirsi il controllo dell’intero sistema delle gare pubbliche indette dalle stazioni appaltanti calabresi”.

Il “cartello”. Secondo l’accusa ai vertici del sodalizio ci sarebbero posto Francesco Bagalà (classe 1977) e Giorgio Morabito. Con l’ausilio di Francesco Bagalà (classe ‘90), avrebbero realizzato una serie di numerosi reati contro la pubblica amministrazione, nonché contro l’industria ed il commercio, al fine di appropriarsi di ingenti risorse pubbliche costituite dai fondi comunitari (Pisu), “i quali, piuttosto che essere destinati ad una riqualificazione del waterfront di Gioia Tauro, hanno consentito un ingente lucro ai danni degli enti pubblici interessati”. Il ruolo di imprenditori “collusi” dei Bagalà, era già emerso in maniera chiara dalle risultanze del procedimento cd. “Cumbertazione”, conclusa nel 2017 dal Gico con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 27 persone, per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere semplice e aggravata, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione e falso ideologico in atti pubblici, nonché di provvedimenti cautelari reali su decine di imprese. “Anche il Morabito da diverse concordanti dichiarazioni – ampiamente riscontrate – in considerazione del suo spessore criminale, aveva rapporti di “vicinanza” – sostengono gli inquirenti – con i referenti della cosca sulla marina di Gioia Tauro. Invero, per l’esecuzione dei lavori di cui agli appalti banditi dal quel comune, Giorgio Morabito, quale imprenditore “colluso” e procuratore speciale delle ditte romane e siciliane appartenenti al cartello illecito, ha consentito l’assunzione – nei cantieri dal medesimo gestiti e/o alle dipendenze delle imprese aggiudicatarie – di maestranze segnalate dal referente dei “Piromalli”, nonché l’utilizzazione di mezzi meccanici e di un deposito riconducibili ad altri imprenditori vicini ad ambienti criminali mafiosi”.

Funzionari pubblici “infedeli”. Le indagini eseguite nell’ambito di questa operazione hanno svelato a parere degli investigatori una sistematica frode in pubbliche forniture relative a lavori nel comune di Gioia Tauro ed in quello di Rosarno in cui erano stati stanziati fondi comunitari; la percezione di somme non dovute, per importi quantificati complessivamente in circa 6 milioni di euro. “A tal riguardo, le indagini hanno riscontrato – secondo quanto emerge dalle carte giudiziarie – diffuse irregolarità di carattere contabile e amministrativo – quali, a titolo esemplificativo, la liquidazione all’appaltatore di spese non dovute, distorto utilizzo delle cc.dd. “varianti in corso d’opera”, difformità rispetto ai progetti approvati nell’esecuzione dei lavori e nell’utilizzo dei materiali, omessi collaudi statici, consegne parziali, polizze fidejussorie irregolari, prove non eseguite sulla qualità e sullo spessore degli asfalti bituminosi – nell’esecuzione degli appalti per la realizzazione – tra le altre – di importanti opere da destinare alla pubblica utilità quali il Palazzetto dello Sport, il Parcheggio interrato e il Centro Polifunzionale di Gioia Tauro, nonché il Centro Polisportivo di Rosarno. Fondamentale, in tale contesto, è risultata l’acclarata complicità, a vario titolo, di pubblici ufficiali – dirigenti e direttori dei lavori-collaudatori, tecnici-progettisti e/o responsabili unici pro tempore dei procedimenti relativi agli appalti – all’uopo incaricati dalle relative stazioni appaltanti”. Nell’inchiesta risultano quindi coinvolti il dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Gioia Tauro l’ingegnere Angela Nicoletta e l’architetto Francesco Mangione (entrambi finiti ai domiciliari). Secondo l’ipotesi accusatoria hanno rivestito la qualifica di direttore dei lavori e responsabile unico del procedimento per la maggioranza degli appalti relativi al waterfront ed alle altre opere pubbliche indetti con i fondi Pisu “consentendo ai legali rappresentanti delle ditte aggiudicatarie, di poter lucrare ingenti profitti ai danni della Regione Calabria e della Comunità Europea che ha cofinanziato i progetti di riqualificazione strutturale”.
Con riferimento agli appalti indetti dal Comune di Gioia Tauro, sono risultati coinvolti, a vario titolo, anche Pierluigi Risola, Antonino Crea, Michele Gabriele e Vincenzo Bressi quali direttori dei lavori/collaudatori tecnici/progettisti e/o responsabili unici pro tempore dei procedimenti relativi agli appalti, nonché Alessandra Campisi e Maria Alati quali, rispettivamente, RUP e Segretario Comunale, pro tempore del comune di Rosarno.

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