Cronaca

Operazione “The Jackal”, i minori istruiti per compiere furti in centri commerciali

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Nuovi particolari emergono dall’ordinanza, nell’ambito dell’operazione che all’alba di oggi ha portato la Squadra mobile di Catanzaro ad eseguire sei misure cautelari

di GABRIELLA PASSARIELLO

Dalle carte dell’ordinanza vergata dal gip del Tribunale di Catanzaro Pietro Scuteri, che ha portato all’alba di stamattina a sei misure cautelari nell’ambito del blitz della Squadra mobile, nome in codice “The Jackal”, emerge la pericolosità sociale dei cautelati che si sono avvalsi di minorenni per mettere a segno i loro colpi. Li istruivano per rubare oggetti di scarso valore, facendoli diventare parte integrante del gruppo criminale, membri effettivi dell’organizzazione, divenuti abilissimi e scaltri complici dei loro navigati correi. Utilizzavano anche due bambini per realizzare i furti con una serie di raccomandazioni operative, quali quelle di fare attenzione alle telecamere di videosorveglianza. Indicativa, fra tutte, l’intercettazione ambientale in cui si parla di un furto diretto e coordinato da Alessandro Bevilacqua e Francesco Martino, i quali con la spontaneità di chi non sa di essere captato, offrono la prova evidente del reato consumato con l’aiuto di minori. Un’intercettazione chiara, che coinvolge anche Emilio Damiano Martino all’epoca dei fatti minorenne e due donne non identificate

Stefano: madonna che è storta lei, i profumi va a rubare
Martino: lo shampoo i profumi si è rubata… e… invece di prendere qualcosa da mangiare, lo shampoo e i profumi… Può essere che ti fanno entrare dai… devi fare veloce, sai che dici di no una cosa devo prendere… una cosa devo prendere
Stefano: no e ci sono tante macchine li vedi.. ma qua siete venuti voi prima?
Martino: no, siamo andati li all’altro… qua non possono fare niente, che come fai qualcosa.. ti scatta… ci sta il vigilante”

L’allarme sociale emerge dalle modalità con cui gli indagati raggiungevano i loro obiettivi senza guardare niente e nessuno. In una conversazione intercorsa tra i fratelli Alessandro e Stefano Bevilacqua, lo zio Antonio Passalacqua e un tale Cocò non identificato, Stefano riferisce: “ allo scippo , lo stavo ammazzando… in mezzo alla strada camminava e l’amico Cocò obiettava.. dovevi andarle addosso invece, come a quella con il liberty quando le abbiamo fatto lo scippo di 2.600 euro”.

Era poi un’abitudine per gli indagati circolare armati, come risulta agli atti da diverse intercettazioni, come quella in cui Alessandro Bevilacqua afferma di avere una pistola calibro 38, un’arma che esibisce al fratello Stefano dicendogli: “guarda che bella la 38”. In altra circostanza lo stesso Bevilacqua aveva ceduto ad un terzo un’arma da sparo malfunzionante, scatenando le lamentele dell’acquirente e ottenendo da parte di Bevilacqua la disponibilità a sostituire il pezzo difettoso.

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