Cronaca

#FOCUS | Mafia a Cosenza, la Dna: sempre più invasiva. Ecco chi comanda

Nella relazione sottoscritta dal procuratore Franco Roberti l’evoluzione della malavita bruzia che ormai ha conquistato enormi spazi di potere

È la città più ricca della Calabria. Il luogo urbano maggiormente attraversato da fenomeni di dinamismo economico e culturale. Ma è anche terra di ’ndrangheta. E di codici d’onore che, seppure appannati dai recenti pentimenti, continuano a essere tramandati di generazione in generazione corroborando le tesi di qualche vecchio confidente sempre pronto a mettere in guardia gli inquirenti sull’esistenza nella città bruzia di grandi manovre criminali tenute sotto traccia per favorire gli affari.

Franco Roberti

Ora, anche la Direzione nazionale antimafia capeggiata da Franco Roberti (foto) ribadisce un concetto che è bene entri presto nella mente di tutti i cosentini: la ’ndrangheta non soltanto esiste ed è pienamente operativa in tutto il Cosentino ma riesce a lucrare a gonfie vele, rubando spazi all’economia sana e nascondendosi tra le pieghe di istituzioni pubbliche e privare intermedie capaci di fare da cuscinetto tra bianco e nero perché il grigio divenga sempre più nitido… Il capo della Dna, nella sua relazione periodica (questa si “chiude” a luglio del 2016), offre il quadro della situazione di tutta la mafia calabrese. Riservando proprio al territorio di Cosenza ampi stralci e lunghi spunti di analisi che aiutano i pochi scettici rimasti a toccare con mano la presenza di una sistema criminale elevato a cartello capace di imporre la propria legge in ogni campo della vita sociale. I recenti pentimenti di Adolfo Foggetti e Franco Bruzzese – che in queste ore chiamano in causa anche uomini della politica e delle istituzioni – non fanno che dimostrare e dare credito a quanto da tempo un’antimafia dei fatti continua a voler “significare” rimanendo spesso inascoltata.

Franco MutoUn quadro a tinte fosche. Ecco, dunque, il quadro della situazione tracciata da Roberti sulla scorta delle relazioni e delle attività condotte dalle direzioni distrettuali disseminate su tutto il territorio italiano. A imperare, al momento, in chiave di prestigio criminale, resta la cosca di Franco Muto (foto), il “re del pesce”, padrino vero, tra gli uomini più potenti mai espressi dalla malavita del territorio cosentino. La sua forza di penetrazione – mette nero su bianco il capo dell’Antimafia inquirente nazionale – è arrivata al punto di poter condizionare una intera amministrazione. Dati desumibili dall’operazione condotta a scalea con l’arresto di 38 persone per associazione mafiosa e la recente condanna a quindici anni di reclusione dell’ex sindaco Pasquale Basile. Quindi, volendo interpretare il concetto, i Muto hanno già ultimato l’opera di trasformazione cui ogni ‘ndrina che si rispetti tende: dopo le schermaglie tra i bassifondi dell’economia legale o illegale, dopo le lotte per la conquista del potere, l’ingresso nel mondo delle istituzioni per l’assalto definitivo alla diligenza che trasporta – questa sì – i lingotti d’oro più massicci…

DrogaLe nuove alleanze Ma sono soltanto i Muto a dettare legge nel Cosentino? No, certo che no. I Muto hanno potere decisionale nella loro zona e voce in capitolo altrove. Ma non possono imporre alle altre ‘ndrine la loro linea nei territori che non sono di loro competenza. Quindi, la Dna opera giustamente una divisione netta tra mafia cittadina, jonica e tirrenica, soffermandosi anche con le recenti alleanze intrecciate con i Brandimarte di Gioia Tauro e i gruppi albanesi per il traffico di sostanze stupefacenti. Il primo dato degno di rilievo, dunque: “Altra indagine, coordinata dalla Dda di Catanzaro con riferimento alle attività della cosca Abbruzzese di Cassano Jonio, monopolista dell’offerta di stupefacente – cocaina, eroina e marijuana – per tutta la provincia di Cosenza, ha consentito l’acquisizione di due ulteriori importanti dati di riflessione. Il primo è che la strutturale criminale, denominata degli “zingari”, quanto alla cocaina, ha accesso ai mercati sudamericani in accordo con la famiglia Brandimarte di Gioia Tauro; peraltro, un esponente di punta della cosca cosentina aveva costituito una società, con sede in Corigliano Calabro, avente come oggetto sociale l’importazione di gamberetti dall’Argentina, proprio al fine di giustificare i suoi frequenti viaggi in Sud America. L’altro dato è costituito dalle rotte dell’eroina e della marijuana, importate in grosse quantità dall’est europeo, e, in particolare, dall’Albania. In particolare, quanto alla marijuana, la sostanza viene acquistata con l’intermediazione di un noto faccendiere, tale Hajdini Dilaver, per il tramite di vettori navali, secondo uno schema ormai routinario: un primo peschereccio salpa dall’Albania; in acque internazionali, lo stupefacente viene trasbordato in un secondo peschereccio, questa volta italiano, che approda in territorio nazionale. Gli albanesi possono importare la marijuana, via mare, solo per il tramite dei clan di Cassano allo Jonio, i quali comprano una parte del carico; la restante parte viene destinata dagli stessi albanesi a loro connazionali, che la stoccano in diverse città italiane”. Quindi, nuove alleanze strategiche e nuovi affari in atto a dimostrazione del grado di affidabilità raggiunto dalla mafia cosentina.

Le prime guerre di mafia Un po’ di storia, prima di iniziare: “Le cosche di ‘ndrangheta attive in provincia di Cosenza, dopo i cruenti conflitti che, negli ultimi decenni – in particolare negli anni ’80 e ’90 – avevano innescato vere e proprie “guerre di mafia”, con ripetuti omicidi che avevano colpito anche esponenti di vertice delle contrapposte “fazioni”, sembrano attualmente aver optato per un atteggiamento rivolto alla limitazione del contrasto armato. Tale strategia di “basso profilo” sembra essere stata determinata, in prima battuta, anche dall’incisiva attività di contrasto giudiziario, che ha condotto all’indebolimento di agguerriti gruppi criminali, consentendo, inoltre, di sottoporre al “regime detentivo speciale” i vertici delle strutture criminali, sostanzialmente private dei consueti riferimenti apicali. Tuttavia, il dato maggiormente esplicativo del mutato atteggiamento sul territorio sembra desumibile dalle imprevedibili dinamiche che hanno permesso di istituire, specialmente per quanto riguarda il capoluogo di provincia, una sorta di federazione tra cosche, con la creazione di un’unica “bacinella”, ossia di un unico fondo cassa in cui far confluire i proventi delle diverse attività illecite”. (1. continua)

ppcam

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