Cronaca

#FOCUS | ‘Ndrangheta, imprese e politica: la mappa del crimine di Reggio Calabria

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Il modello organizzativo su cui si basa la criminalità nel Reggino secondo la relazione annuale elaborata dalla Direzione nazionale antimafia

reggio mandamento centroUn’organizzazione vera e propria. Con i suoi sistemi e le sue regole. Con un vertice che ne amministra le questioni interne, incidendo sulle dinamiche mafiose che la caratterizzano. Un’organizzazione – la ‘ndrangheta reggina – con una struttura di vertice denominata “Crimine” o “Provincia”, nella quale “vivono” le ‘ndrine ed i “locali” di Reggio Calabria e provincia e a cui le stesse fanno riferimento per dirimere controversie, assumere o ratificare le decisioni, e per mantenere un equilibrio definito e criminale. La ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria amministra i suoi affari attraverso l’azione di tale struttura criminale sovra-ordinata, che agisce come fosse all’apice di una piramide gerarchica, da cui non intacca l’autonomia di gestione delle singole ‘ndrine, ma da cui ne decide le sorti. Un elemento non nuovo e che, anzi, si ripropone anche quest’anno nella geografia mafiosa reggina, tracciata dalla Direzione nazionale antimafia, nella cui relazione annuale emerge un sistema mafioso fondato sulla capacità di condizionare la politica, sul potere di inserirsi nel tessuto economico locale e di esportare, di conseguenza, modelli e reati oltre confine.

‘Ndrangheta e imprese. La relazione della Dna non lascia dubbi: la ‘ndrangheta trae forza dal suo potere economico e dal condizionamento della politica. Due fattori strettamente connessi, perché l’uno è conseguenza dell’altro. La criminalità reggina, infatti, esercita il suo “ascendente” sulla politica “nella misura in cui riesce a mantenere il controllo del consenso” sul territorio, “cosa che deriva a sua volta dalla grande capacità di essere presente nella realtà economica, spesso con società controllate da uomini di fiducia, se non addirittura con affiliati, con cui accede anche alle procedure pubbliche di appalto”. Un’infiltrazione, quella della ‘ndrangheta reggina, “silenziosa”, da basso profilo imprenditoriale, grazie alla quale riesce talvolta a tenere alla larga allarmismi e controlli. Il “modus” criminale della “rinuncia alle modalità eclatanti di controllo” non equivale tuttavia a Reggio e provincia ad una rinuncia dei “sistemi” mafiosi, per mezzo dei quali invece sul territorio, secondo la Dna, vengono violate le regole del libero mercato e della concorrenza leale, con “inquinamento dell’economia legale”. In questo senso, di rilevo appaiono nella relazione le emergenze investigative che hanno dimostrato come le cosche dei tre mandamenti reggini (quello di “Reggio-Centro” con i Tegano, i Libri e i Labate; quello “Ionico” con i Commisso di Siderno, i Nucera ed i Paviglianiti di San Lorenzo; e quello “Tirrenico” con i Piromalli di Gioia Tauro) avessero il controllo di importanti attività d’impresa. La Dna, in questo quadro definisce “emblematica” la vicenda relativa al sequestro del complesso immobiliare del Parco commerciale ‘Annunziata’ di Gioia Tauro.

reggio mandamento tirrenicoLe risultanze investigative di tale inchiesta gettano un “fascio di luce” anche sull’omicidio di Rocco Molè, boss di primo piano dell’omonimo casato mafioso i cui vertici, i fratelli Girolamo, detto “Mommo”, Molè, e Domenico sono da tempo detenuti. Il delitto eclatante di Rocco Molè, consumato a Gioia Tauro nel 2008, resta ad oggi impunito, ma per la Dna “ha fatto da spartiacque nei rapporti tra le due famiglie, Molè e Piromalli, storicamente alleate”. Il rapporto ‘ndrangheta-imprenditoria, per la Direzione nazionale antimafia, emerge anche dall’operazione “Gambling”. Dall’attività investigativa dell’inchiesta sarebbe risultato “un controllo, da parte della ‘ndrangheta, di ampi settori delle scommesse clandestine e del gioco d’azzardo, avvalendosi di società estere di diritto maltese, di innumerevoli siti internet di scommesse “on line” e di una rete commerciale strutturata gerarchicamente, rappresentata da imprese colluse anche con la camorra e la mafia, che ha distribuito provvigioni a cascata ai partecipi, riciclando, in tal modo, ingenti proventi illeciti e realizzando pure rilevantissime violazioni fiscali”.

Il Porto di Gioia Tauro e gli appalti pubblici. Un controllo, quello della ‘ndrangheta nel Reggino, che assume sempre più una connotazione internazionale. E, infatti, la Dna anche su questo è del tutto chiara: “Il controllo è facilitato da consolidati rapporti con vertici e dipendenti delle imprese operanti nell’area portuale e riguarda pure affari diversi dal traffico di stupefacenti”. La Dna ripercorre, nella relazione, le operazioni più significative, tra queste inserisce quella dell’ottobre 2014 eseguita nei confronti dei clan Pesce di Rosarno e Molè di Gioia Tauro, “particolarmente significativa, non solo per i numeri – arresto di 13 persone, complessivi 51 indagati, sequestro di 23 società per un valore complessivo di circa 56 milioni di euro – ma soprattutto perché ha fatto emergere come tra i settori di interesse della ‘ndrangheta vi sia anche il contrabbando, in grandi quantità, di gasolio e di merce contraffatta, quasi sempre proveniente dalla Cina, con la contestuale realizzazione di frodi fiscali, attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti”. La presenza della ‘ndrangheta, nella relazione annuale, viene fuori anche nel settore degli appalti pubblici, “o direttamente, attraverso imprese gestite da prestanome, o imponendo alle società aggiudicatarie l’affidamento dei lavori in sub-appalto alle prime o, comunque, il versamento di somme di denaro”.

reggio mandamento jonicoPolitica e Comuni sciolti per mafia. In numerose sentenze e ordinanze, cui fa richiamo la Dna nella relazione, si legge di un consolidamento dei rapporti ‘ndrangheta-politica. “Sempre più spesso – si legge  nel documento – a rappresentare l’organizzazione criminale nei consessi politici, a tutti i livelli, sono veri e propri partecipi dei sodalizi. In tal senso, emblematiche sono le vicende giudiziarie subite da sindaci e consiglieri – ex ed in carica – di San Luca, Siderno, Melito Porto Salvo, San Ferdinando e della stessa Reggio Calabria, quali uomini dei clan Giorgi, Commisso, Iamonte, Pesce, Bellocco e Libri, appartenenti a tutti e tre i mandamenti reggini, il cui operare in modo sinergico è venuto fuori soprattutto con riferimento alla sfera politica regionale”. La relazione rileva, inoltre, come la ‘ndrangheta non abbia esitato ad usare la violenza in tutti quei casi in cui non è stato possibile condizione politici e amministratori, destinatari per questo di intimidazioni. A riprova di quanto emerso dalle risultanze investigative sarebbe “significativo”, secondo la Dna, il numero dei Comuni sciolti per mafia, nell’area ionica (Africo e Bovalino, per esempio) e tirrenica (San Ferdinando e Bagnara).

 Crollo del “mito” e donne di ‘ndrangheta. L’organizzazione criminale trae il suo potere dal consenso sociale, se ne nutre per radicarsi sul territorio. L’aumento delle denunce, le testimonianze e l’incremento delle collaborazioni sono un segnale che indica, per la Procura nazionale antimafia, “il crollo del mito dell’invincibilità”. Un fatto, questo, che ha messo fortemente in crisi il suo modello organizzativo. Non è probabilmente un caso che questo cambiamento sia avvenuto con la collaborazione nelle indagini di molte donne di ‘ndrangheta. E’ il caso di Giuseppina Pesce di Rosarno, Giuseppina Multari di Rosarno, Simona Napoli di Melicucco e Annina Lo Bianco di San Ferdinando. Donne-coraggio che hanno deciso di abbattere una volta per tutte il muro dell’omertà.
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