Cronaca

“Purgatorio”, decisione senza precedenti a Vibo Valentia: processo a “porte chiuse”

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La decisione è stata assunta dal Tribunale collegiale prima di procedere all’esame dell’avvocato-imputato Antonio Galati. Stampa fuori dall’aula

di GIUSEPPE BAGLIVO

tribunale vibo valentia

E’ in corso da questa mattina – dalle ore 11 per la precisione – nell’aula bunker del nuovo Tribunale di Vibo Valentia di via Lacquari, l’esame dell’avvocato Antonio Galati, imputato nel processo nato dall’operazione antimafia denominata “Purgatorio” scattata con tre arresti (attualmente gli imputati sono tutti a piede libero) nel febbraio del 2014. Per la prima volta nella storia giudiziaria vibonese – o comunque di sicuro nell’arco temporale ricompreso negli ultimi 15 anni -, un processo dinanzi al Tribunale collegiale si svolge a “porte chiuse”. All’infuori dei casi contemplati dal terzo comma bis dell’articolo 472 del codice di procedura penale (violenza sessuale, pornografia minorile, prostituzione minorile, riduzione in schiavitù) che ha registrato in passato, per ovvie ragioni di riservatezza, la decisione del Tribunale di procedere al dibattimento a porte chiuse (per come impone sempre ed in tutti tali casi il codice), mai a Vibo Valentia si era registrata una decisione simile.

presidente Filardo

presidente Filardo

La decisione del Collegio. E’ stato il presidente del Collegio penale giudicante del processo “Purgatorio”, Alberto Filardo (che è anche presidente dell’intero Tribunale di Vibo Valentia), ad assumere la decisione dopo essersi consultato per una manciata di secondi con i due giudici a latere del dibattimento, Raffaella Sorrentino e Graziamaria Monaco. Ed è stata proprio quest’ultima, codice di procedura penale alla mano, a mostrare al presidente l’articolo del codice che consente – in casi del tutto eccezionali – lo svolgimento a “porte chiuse” di un processo. Il presidente del Tribunale collegiale Alberto Filardo, quindi, ai sensi dell’articolo 472 del c.p.p. ha invitato gentilmente i presenti non direttamente interessati al processo (ad esclusione ovviamente degli imputati e dei loro difensori) ad allontanarsi dall’aula. A farne le “spese”, gli operatori della stampa (venuti a seguire un processo di rilevante interesse pubblico allo scopo di informare doverosamente l’opinione pubblica di quanto accade in un dibattimento che coinvolge anche due alti dirigenti della polizia), qualche avvocato del foro di Vibo interessato a seguire l’esame del collega-imputato Antonio Galati, ed i familiari dell’ex capo della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento (anche lui imputato nel processo insieme all’ex vicecapo della Mobile di Vibo, Emanuele Rodonò), e dell’avvocato Antonio Galati. Tutti fuori dall’aula, dunque, ai sensi dell’articolo 472 del codice di procedura penale, ed esame dell’imputato Antonio Galati al via “a porte chiuse”.

codice penale

Il pm per le “porte aperte” del processo e l’art. 472 del c.p.p.. Il pubblico ministero della Dda di Catanzaro, Camillo Falvo, che rappresenta la pubblica accusa in tale processo – contrariamente alla difesa dell’avvocato Galati – si era dichiarato in aula favorevole all’esame del legale a “porte aperte”, non ravvisando dall’escussione dell’imputato ragioni per l’applicazione dell’articolo 472 del codice di procedura penale. Ma cosa dice tale articolo? Tralasciando i reati a sfondo sessuale e tutti quelli che coinvolgono minori, e che devono svolgersi sempre a “porte chiuse”, tale articolo del codice recita: “Il giudice dispone che il dibattimento, o alcuni atti di esso, si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell’autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell’interesse dello Stato”. Attenzione, però, perchè  la dottrina specifica che il segreto e l’interesse dello Stato “Non devono essere confusi con il segreto di Stato in senso stretto, la cui conoscenza sarebbe vietata non soltanto al pubblico, ma anche allo stesso giudice”. 

tribunale toga aula

Il secondo comma dell’articolo 472 del codice di procedura penale recita invece che: “Su richiesta dell’interessato, il giudice dispone che si proceda a porte chiuse all’assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell’imputazione. Quando l’interessato è assente o estraneo al processo, il giudice provvede di ufficio”.

Il terzo comma dell’articolo 472 del c.p.p. recita infine che: “Il giudice dispone altresì che il dibattimento, o alcuni atti di esso, si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene, quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze ovvero quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati”. In tale ultimo caso, la dottrina specifica però che: “Ciò non significa che necessariamente deve essere esclusa la pubblicità mediata, ovvero la presenza della stampa, che ai sensi dell’art.473, comma 2, il giudice può consentire”. 

Tribunale Vibo-

Alla luce di quanto prevede il codice, dando per scontato che il Tribunale ha applicato l’articolo 472 non certo per il terzo comma laddove prevede le “porte chiuse” al fine di non nuocere all’igiene pubblica o in  presenza di manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze, e dando anche per scontata la non applicazione dell’art. 472 del c.p.p. in relazione al primo comma che parla del “buon costume”, il Tribunale può aver disposto le porte chiuse solo in ragione o della diffusione di notizie da mantenere segrete nell’interesse dello Stato oppure – secondo la previsione del secondo comma dell’art.472 – “su richiesta dell’interessato per l’assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti in ordine a fatti privati”. In tale ultimo caso, l’articolo del codice specifica in ogni caso “in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell’imputazione”. 

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La decisione del Tribunale, stante anche l’autorevolezza del Collegio e soprattutto del suo presidente che è un magistrato di lunga esperienza, va naturalmente rispettata e della stessa va preso doverosamente atto. Come tutte le decisioni, però, la stessa può anche non essere condivisa e prestarsi a legittime critiche. Soprattutto perchè senza precedenti (e questo è un dato storico di fatto e, come tale, ineliminabile) e poichè le motivazioni appaiono quantomeno discutibili. Non si comprende infatti la ragione del dover disporre il processo a “porte chiuse” solo per l’esame dell’avvocato-imputato Antonio Galati quando ciò non è stato fatto per tutti gli altri testi della pubblica accusa, ad iniziare dal teste principale della Dda di Catanzaro, ovvero il colonnello Giovanni Sozzo. Non si comprende – o almeno noi non lo comprendiamo – quale siano le notizie da mantenere “segrete nell’interesse dello Stato” o che possono “causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni”, posto che l’intera inchiesta “Purgatorio” è pubblica da tempo in quanto gli atti sono già stati tutti completamente discoveraty e quindi messi a disposizione di tutte le parti processuali (parti civili comprese) e quando poi tutti gli organi di informazione – proprio in ragione dell’avvenuta discovery – hanno già pubblicato da ben due anni tutto ciò che è contenuto negli atti di indagine di tale processo. Non si comprende quale, eventualmente, “sicurezza dei testimoni o degli imputati” ci sia da salvaguardare e non si comprende, soprattutto, quali “segreti inconfessabili” possa svelare l’esame dell’avvocato-imputato Antonio Galati tanto da rendersi necessario il non ascolto da parte dei giornalisti. Ma c’è di più. L’intera deposizione dell’avvocato-imputato Antonio Galati sarà naturalmente oggetto di trascrizione scritta così come tutte le deposizioni di tutte le persone (testi o imputati) che vengono ascoltate nei Tribunali italiani nel corso dei processi. Di tale trascrizione gli organi di informazione ne verranno del tutto legittimamente in possesso (è tutto da discutere se la stessa sia poi pubblicabile o meno) e quindi ci si troverà dinanzi ad un segreto “farlocco”, ad un segreto che è un non segreto ma solo un modo “diverso” per rimandare nel tempo quanto necessariamente dovrà essere conosciuto dall’opinione pubblica attraverso il ruolo e la funzione insostituibile della stampa. Tranne che il Tribunale non voglia disporre il “segreto” anche sulla trascrizione della deposizione dell’avvocato Galati e tranne che voglia mantenere il segreto su tale deposizione anche una volta giunto a conclusione il dibattimento ed una volta depositate le motivazioni della sentenza.

tribunale legge

Un’occasione persa per tutti. La decisione del Tribunale, a nostro modestissimo avviso, rappresenta inoltre anche “un’occasione persa” per la stessa difesa degli imputati, atteso che sinora l’opinione pubblica ha conosciuto unicamente le tesi accusatorie dell’operazione “Purgatorio”, e non solo perchè l’escussione di tutti i testi dell’accusa in tale processo non è mai avvenuta a “porte chiuse”, ma anche perchè l’inchiesta è stata illustrata sin nei particolari – nella sola ottica accusatoria, com’è naturale che sia – all’atto degli arresti e della successiva conferenza stampa convocata in Procura a Catanzaro la mattina del blitz che ha portato in carcere l’ex capo della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento, l’ex vice-capo della Squadra Mobile Emanuele Rodonò, e l’avvocato Antonio Galati, i primi due accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, il terzo accusato di associazione mafiosa.

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Le “anomalie” del processo e di un’intera “stagione” di inchieste. La decisione del Tribunale, peraltro, avviene in un processo molto delicato dove uomini dello Stato hanno indagato su altri uomini dello Stato e magistrati hanno indagato su altri magistrati sull’asse Vibo-Catanzaro-Salerno. Una parte significativa dell’intera informativa “Purgatorio” non ha però sinora retto al vaglio dei giudici-terzi mentre dove per alcuni magistrati ha parzialmente retto, gli stessi si ritrovano tuttora a prestare servizio nei medesimi uffici giudiziari da dove è stata coordinata originariamente l’indagine anche contro di loro e poi passata per competenza a Salerno. Il processo “Purgatorio” in corso a Vibo, e lo stesso esame dell’avvocato-imputato Antonio Galati, si è fra l’altro sinora svolto con l’escussione dei testi dell’accusa avvenuta senza che il perito nominato dal Tribunale abbia ad oggi provveduto a depositare tutte le trascrizioni delle intercettazioni operate dalla polizia giudiziaria (Ros di Catanzaro) che sono poste a fondamento dell’impianto accusatorio.

Chi, fra i giornalisti, in passato ha poi “osato” raccontare le decisioni dei giudici terzi – vedi ordinanze del gip di Salerno e Napoli di rigetto delle misure interdittive avanzate nei confronti di cinque magistrati del distretto (all’epoca dei fatti) di Catanzaro – ha pagato a caro prezzo tale racconto, con decreti penali di condanna sul presupposto del “divieto di pubblicazione di atti giudiziari sino alla conclusione delle indagini preliminari” (sarebbero allora da eliminare tutte le conferenze-stampa successive agli arresti convocate dagli stessi inquirenti in tutta Italia, in quanto non ancora in presenza di un avviso di conclusione indagini). Non tutti i giornalisti, sia ben inteso, hanno “pagato”, ma solo quelli che si sono scrupolosamente attenuti a raccontare – anzichè le sole tesi accusatorie – quanto deciso da un giudice terzo. Il “corto-circuito” nei rapporti fra giustizia-informazione, del resto, si è reso ancor più evidente con il fermo dell’operazione antimafia “Black money” del marzo 2013, motivato – il fermo – anche sul presupposto della “fuga di notizie” operata dalla stampa con la pubblicazione della parte dell’inchiesta su cui già si era pronunciato un giudice terzo a Salerno nei confronti di cinque magistrati (tre totalmente prosciolti da ogni accusa). Oggi, quindi, la decisione del Tribunale Collegiale di Vibo Valentia di procedere a “porte chiuse” all’esame dell’avvocato-imputato Antonio Galati. Una decisione che fa riflettere e che dovrebbe aprire un sereno dibattito, se non altro perchè – senza scomodare la scuola americana che vuole la stampa “guardiana” dei poteri e quindi anche del “potere” giudiziario – in Europa la legislazione sulla libertà di espressione, in cui è ricompresa anche la libertà di stampa, è figlia della Rivoluzione francese e della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. L’informazione libera e corretta, quindi, è alla base di una libera formazione dell’opinione pubblica e di un sistema democratico e pluralista. E la società dovrebbe avere il dovere di difenderla sempre ed a tutti i “costi”.

Processo “Purgatorio”: rinvio all’11 marzo con un nuovo giudice a latere (LEGGI QUI)

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