Cronaca

Inchiesta Petrolmafie, D’Amico e i voti raccolti per Salvatore Solano

La figura del cugino coinvolto in "Rinascita 2" finisce per tirare in ballo anche il presidente della Provincia di Vibo, non indagato. Per lui persino l’invito (declinato) ad entrare in massoneria

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Nelle carte dell’inchiesta “Petrolmafie“, denominata anche “Rinascita 2” (in quanto costituisce il prosieguo della maxi indagine Rinascita Scott), spunta fuori anche la figura di Salvatore Solano, attuale presidente della Provincia di Vibo, nei giorni che ruotano intorno alle elezioni provinciali che lo hanno visto vincitore. È importante precisare, sin da subito, che Salvatore Solano non è indagato all’interno dell’inchiesta e che i fatti presenti nelle carte dell’indagine non hanno rilevanza penale.

Il supporto di Giuseppe D’Amico per le elezioni provinciali.
Ad essere intercettato non è Solano ma Giuseppe D’Amico, uno dei principali indagati dell’inchiesta (QUI le accuse del pentito Mantella), che è cugino del presidente della Provincia (“cioè la sua mamma e mio papà – dice D’Amico – sono fratello e sorella”) che gli avrebbe dato una rilevante mano per ottenere voti in vista delle elezioni. Si parla delle elezioni provinciali del 31 ottobre 2018, in cui – dopo la legge Delrio del 2014 – a votare non sono direttamente i cittadini ma i sindaci e i consiglieri dei Comuni della provincia. D’amico, scrivono gli inquirenti, ha garantito “supporto elettorale” procacciando voti “presso gli elettori dei comuni di Vibo Valentia, Capistrano, Filandari, Francica, San Nicola da Crissa, Tropea“. Un supporto ben accettato dallo stesso Solano che in un’intercettazione, ridendo, dice al cugino “stiamo lavorando nel nostro piccolo… umilmente… e facciamo la parte nostra… tu fai la parte tua e non ti preoccupare”.

Le foto dei voti a favore di Solano.
D’Amico sembrerebbe aver preso molto a cuore le elezioni del cugino, tanto che – annotano sempre gli investigatori – si esprimeva spesso alla prima persona plurale (“vinciamo”; “ci vota”; voti che “dobbiamo prendere”). “Interessante anche, per il tono e l’enfasi dell’indagato – si legge ancora nelle carte dell’inchiesta – il passaggio in cui Giuseppe D’Amico chiedeva al cugino una previsione sull’esito finale del voto, specificando che l’importante era garantirsi la carica presidenziale, atteso che ‘poi le altre cose le aggiustiamo’“. Alla fine le elezioni verranno effettivamente vinte da Solano e, tra le cose più rilevanti, c’è il fatto che alcuni votanti sembra abbiano mandato una foto del voto espresso allo stesso Solano. Scrivono gli inquirenti: “Si apprendeva che il D’amico – che reiteratamente raccomandava al cugino di mantenere un atteggiamento di discrezione – aveva chiesto la prova fotografica del voto espresso. Prova fotografica che del resto Solano aveva ricevuto anche da Marco Martino, sindaco di Capistrano (Solano: ‘Capistrano ci ha votato… Marco mi ha mandato la foto… il sindaco’)”.

Il pranzo e le “parentele qualificate” con la famiglia Mancuso.
Viene poi intercettato un pranzo l’11 dicembre 2018, in un ristorante di Sant’Onofrio, tra i due cugini e una terza persona, Isaia Angelo Antonio Capria. Nel corso dell’incontro, che è durato circa due ore, vengono affrontati diversi argomenti “di palese interesse investigativo“. Ad esempio, parlando della famiglia del Capria, “quest’ultimo faceva riferimento a un suo nipote – col quale lo stesso Giuseppe D’Amico aveva recentemente interloquito – asserendo che ‘l’altro nipote che gioca si è sposato la figlia di Luni… si è sposato adesso ad ottobre'”. Era “immediatamente evidente”, annotano ancora gli inquirenti, che si trattava di una “parentela qualificata”, visto che il nipote in questione era Francesco Domenico Arfuso che si era recentemente sposato con Desiree Antonella Mancuso, figlia del boss Pantaleone Mancuso detto “l’ingegnere“. A proposito di parentele, in quell’occasione i due cugini – D’Amico e Solano – hanno inoltre raccontato alcuni aneddoti riguardanti la propria famiglia. “I due – scrivono gli inquirenti – riferivano della loro nonna comune, a proposito della quale D’Amico raccontava che la stessa aveva ospitato, durante un periodo di latitanza, Luigi Mancuso, Francesco D’Angelo e Raffaele Cracolici senza sapere che ‘erano tre diavoli’ (D’amico: quando mio suocero era latitante e la buonanima di Lele Palermo e lo zio Luigi… erano nella… là sotto […] ed erano là sotto dalla nonna… e… diceva ‘questi figli’ come quando che aveva… come quando che aveva la roba della chiesa… vai a sapere che erano tre diavoli…)”.

I lavori di 6mila euro per il cugino (pagati in ritardo).
Proseguendo, Giuseppe D’Amico “accennava a una non meglio precisata pratica di suo interesse, evidentemente arenatasi alla Provincia, sollecitando l’intervento. Per tutta risposta Solano lo invitava a consegnargli personalmente l’incartamento, rimproverandolo per non averlo già fatto. Si trattava di un’istanza avanzata dal D’Amico per ampliare la tipologia di rifiuti conferibili tramite la sua azienda“. In seguito lo stesso d’Amico informava il cugino “che nell’immediato futuro la sua azienda si sarebbe occupata di forniture di bitume, proponendosi per delle forniture in favore della Provincia”. Circa 7 mesi dopo, a luglio 2019, i due cugini si incontrano e, tra gli argomenti toccati, “c’era anche quello inerente alcuni lavori di rifacimento di una strada a San Cono, frazione di Cessaniti, per i quali Solano dava sostanzialmente in carico al D’Amico”. Solano chiariva che la Provincia non disponeva dei fondi per eseguire un “lavoro come si deve”. Per le note difficoltà economiche della Provincia, Solano chiedeva quindi al cugino “una stima volumetrica del materiale da posare, proponendo poi, con l’evidente fine di risparmiare sulla spesa, di assottigliare lo spessore del materiale posato”, eventualità però “esclusa dal D’amico”. Il costo del lavoro, riferisce D’Amico, era di 6mila euro. Due mesi e mezzo dopo sarà Solano a chiamare D’Amico “rimproverandolo per non aver ancora eseguito i lavori a San Cono”. Da parte sua D’Amico “replicava che l’impass era dovuta al ritardo nei pagamenti attesi dalla Provincia, ricevendo a tal riguardo rassicurazioni dal Solano che garantiva che a stretto giro sarebbe stato approvato il bilancio provinciale”.

La mancata adesione alla massoneria: “Voglio essere libero”.
Durante il pranzo di cui sopra, inoltre, i commensali si erano anche messi a discutere dell’opportunità per Solano di aderire alla massoneria. Il presidente della Provincia riferiva di un non meglio specificato ‘comandante‘ che, alcuni giorni prima, si era rifiutato di partecipare ad una processione per via della presenza di alcuni soggetti evidentemente controindicati. “Si inseriva quindi Capria, il quale, apparentemente sempre parlando del medesimo soggetto, riferiva che era diventato professore universitario grazie alle entrature che aveva nella massoneria. In particolare, Capria faceva riferimento a Ugo Bellantoni e al ‘capo’ di questi, del quale veniva rimarcato il lignaggio all’interno della massoneria. Si inseriva quindi Solano il quale riferiva di essere stato chiamato (evidentemente da Francesco Damiano Muzzopappa, come verrà confermato dai successivi commenti di D’Amico) e invitato a entrare in una loggia, precisando però di aver declinato l’invito (Solano: l’altro giorno mi ha chiamato se voglio entrare […] eh a me gli ho detto ‘che cazzo devo entrare?’ […]non è il momento… ma non valgono niente più… non è passaggio buono adesso in questa fase […] io voglio stare libero)“.

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