Cronaca

Discarica dei “veleni” a Vibo, allarme Arpacal: “Radioattività superiori alla norma”

Dai pannelli di eternit alle ecoballe: ecco cosa hanno trovato i carabinieri nella zona industriale di Porto Salvo. L'inchiesta partita dalla segnalazione di un giornalista

Il sequestro è d’urgenza e l’attività investigativa tutt’altro che chiusa. Tanti, ancora troppi, gli interrogativi che ruotano intorno alla maxi-discarica di rifiuti tossici e pericolosi sequestrata nel cuore della zona industriale di Porto Salvo a Vibo Valentia. Circa centomila metri quadrati di veleni a due passi dal mare sui quali la Procura di Vibo vuole fare piena luce e per la quale è stata segnalata “una grave situazione di probabile inquinamento del sottosuolo con rifiuti tossici”. Necessari una serie di interventi (carotaggi e analisi) volti all’accertamento dell’entità del fenomeno e indispensabile mettere i sigilli all’intera area.

L’allarme dell’Arpacal. Si indaga a 360 gradi, ad iniziare dalla natura e dal grado della contaminazione. Un esame radiometrico dell’intera area verrà effettuato dall’Arpacal al fine di appurare l’eventuale presenza di materiale radioattivo e quindi ispezionare il sito in completa sicurezza. Le prime misurazioni eseguite hanno fornito dati allarmanti: sul lato ovest del sito, l’apparecchiatura ha riscontrato valori di radioattività di gran lunga superiori alla norma. Da qui la necessità di un tempestivo intervento per la bonifica della zona per poi procedere all’individuazione e alla caratterizzazione della fonte contaminata.

Maxi-discarica di veleni. Nel decreto di sequestro preventivo d’urgenza vengono ipotizzati i reati di attività di gestione di rifiuti non autorizzata e di inquinamento ambientale, per il momento, a carico di ignoti. Il lavoro dei carabinieri della sezione della polizia giudiziaria, coordinati dal procuratore Camillo Falvo e dal sostituto procuratore Filomena Aliberti, non finiscono certamente qui e puntano adesso a dare un nome ed un volto agli ignoti che hanno contaminato il sito industriale realizzando una vera e propria discarica non autorizzata con dentro di tutto: rifiuti di vario genere (pericolosi e non), materiale proveniente da demolizioni, pannelli di eternit in disuso, pneumatici fuori uso, scarti di rifiuti ferrosi accatastati all’esterno e all’interno di un capannone dove sono state, tra l’altro, trovate anche ecoballe, ovvero rifiuti compattati verosimilmente di origine urbana, oltre ad altro materiale di vario genere e di difficile classificazione perché interessato recentemente da incendio. Un sito ormai compromesso e deteriorato nel suolo, nel sottosuolo e nell’aria, “sia a causa dell’infiltrazione di agenti atmosferici con la conseguente formazione di percolato da rifiuto, sia – sottolinea il provvedimento della Procura – a causa della possibile aerodispersione delle fibre di amianto contenute nei pannelli in fibrocemento abbandonati”.

L’origine dell’indagine. Tutto è partito da una segnalazione al 113 da parte di un giornalista il quale aveva fornito alla Questura di Vibo Valentia un dvd contenente una serie di videoriprese dell’area che documentavano lo stato totale di abbandono e degrado nella zona industriale di Porto Salvo. La Procura di Vibo ha delegato le indagini all’Aliquota dei Carabinieri della sezione di polizia giudiziaria che, unitamente, all’Arpacal e ai Vigili del fuoco, ha effettuato il sopralluogo la scorsa settimana, appena allentate le misure di emergenza adottate per contrastare la diffusione del Coronavirus. Ne è bastato solo uno di sopralluogo per capire la gravità della situazione e procedere immediatamente al sequestro.

Sito abbandonato e contaminato. Nell’area interessata fino al gennaio del 2009 operava la Cgr (Compagnia Generale Resine Sud Spa) costituita ufficialmente nel 1963 per la produzione, la lavorazione e l’applicazione di resine sintetiche e costruzioni di impianti di industria chimica. Le quote societarie erano ripartite al 50% tra Pierluigi Biagiotti e la società “Fin-In” con sede legale a Catanzaro e il cui amministratore unico risulta Francesco Mirigliani, attuale proprietario dell’area in virtù dello scioglimento della società per liquidazione nel 2009. Un’impresa che non esiste più e che ha cessato da oltre un decennio la sua attività. Restano sette manufatti pericolanti e in stato di abbandono in un’area fatiscente e degradata, coperta dalla vegetazione e avvelenata da cumuli di rifiuti speciali accatastati da ignoti. Di chi si tratta? Le indagini mirano alla loro identificazione. Poi c’è un’altra domanda senza risposta: da quanto tempo questo sito è stato trasformato in una maxi-discarica? L’ipotesi degli investigatori è che tutto ciò sia avvenuto in tempi non troppo remoti.

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