Cronaca

Rinascita, il Riesame: “Pittelli è solito commettere reati, non merita i domiciliari”

In 76 pagine i giudici del Tdl motivano la decisione di riqualificare il reato da associazione a delinquere in concorso esterno, confermando il carcere

Palazzo-di-gistizia-e-Pittelli

“Non appare idonea alcuna misura cautelare meno afflittiva della custodia in carcere, perché Giancarlo Pittelli è solito commettere reati, utilizzando proprio la sua rete di connivenze e di complicità con pezzi dello Stato, reti di relazioni che gli hanno consentito di conoscere in anticipo persino le accuse che lo riguardavano. Anche ove astrattamente il titolo di reato consentisse la concessione degli arresti domiciliari, l’indagato è immeritevole di alcun credito fiduciario, essendovi rilevanti probabilità, che egli violi le prescrizioni imposte dagli arresti domiciliari, pur caratterizzate da stringenti e frequenti controlli, comunicando con l’esterno e ricevendo notizie dall’ambiente criminale”.   In 76 pagine, i giudici del Riesame motivano la decisione di lasciare dietro le sbarre il noto penalista del foro di Catanzaro, arrestato insieme ad altri 333 indagati nell’ambito della maxi inchiesta della Dda guidata da Nicola Gratteri, nome in codice Rinascita Scott, recentemente sospeso per un anno dalla professione di avvocato. I giudici, presidente Giulio De Gregorio, a latere Simona Manna e Gaia Sorrentino hanno riformato la sentenza solo rispetto al capo di accusa relativo all’associazione a delinquere di tipo mafioso, riqualificando il reato in concorso esterno, avallando l’originaria richiesta formulata dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Resta confermata l’ordinanza per quanto riguarda le ipotesi di reato di rivelazione, utilizzazione del segreto di ufficio e di abuso di ufficio.

Gli interessi di Pittelli. La riqualificazione non si basa sul fatto che Pittelli non abbia dato un rilevante “contributo alla conservazione e al rafforzamento del sodalizio dei Mancuso di Limbadi, procurando informazioni riservatissime, mettendosi a disposizione del clan per ogni tipo di faccenda”. Un dato questo che non viene messo in discussione dal Tribunale del Riesame, non è sufficiente, però, a qualificare l’ex parlamentare un affiliato alla cosca. Il penalista, per il collegio giudicante, non può essere definito un partecipe della cosca di Limbadi, per il semplice fatto che Pittelli non persegue scopi comuni con il clan, ma agisce in base a quelli che sono i propri interessi.  Una conclusione a cui i giudici pervengono attraverso una disamina della ricostruzione storica degli eventi e dei motivi che legano Pittelli ai Mancuso.

La collaborazione di Mantella e la preoccupazione del legale. A giugno 2016 diventa di dominio pubblico la notizia della collaborazione dell’ex boss Andrea Mantella “accolta con molta preoccupazione da Pittelli, che qualche scheletro- scrivono i giudici- nell’armadio li aveva”. Un fatto, secondo il collegio giudicante, che avvicina molto l’avvocato alla cosca e a Luigi Mancuso, “perché ben poteva immaginare di essere stato oggetto delle dichiarazioni del pentito, così come lo erano stati molti affiliati alla Provincia di ‘ndrangheta Vibonese”. Pittelli, avrebbe avuto, quindi, un interesse personale all’acquisizione di informazioni sul contenuto dei verbali di Mantella, interesse che è speculare a quello di Luigi Mancuso, perché quelle carte riguardano a 360 gradi la criminalità nella provincia di Vibo.  Nel novembre dello stesso anno, Pittelli, come ha affermato nelle sue dichiarazioni spontanee rese nel corso dell’udienza del 9 gennaio scorso, davanti al Riesame, si sentiva fortemente pressato nel dover pagare un debito di 200mila euro a Francesco Ferdinando Basile. Il penalista per uscire da questa situazione tenta di ingraziarsi il più possibile Mancuso, “violando ogni regola nell’acquisire notizie riservate, dimostrandosi pronto a soddisfare ogni necessità degli associati con le sue relazioni in ogni ambiente della società e ricevendo anche vantaggi di apprezzabile entità”.

La fuga di notizie e gli appunti ritrovati in studio. Il fatto che il Riesame abbia riqualificato l’associazione in concorso esterno, non rende il reato meno grave: “Pittelli non solo non si è mantenuto nell’ambito di quanto legalmente consentito, ma ha anche concorso con pubblici ufficiali nel commettere a vantaggio della cosca gravi fatti di violazione del segreto di ufficio”. Allarmanti, per il Riesame, sono le modalità attraverso le quali l’avvocato si è creato canali di flussi informativi su notizie che dovevano restare riservate e segrete, un nucleo di fonti privilegiate da individuarsi in funzionari e militari infedeli. “La fuga di notizie sull’indagine Rinascita-Scott è certificata dal ritrovamento nel suo studio, al momento dell’applicazione della misura cautelare, di un appunto con tutti i temi che lo riguardano”. Senza dimenticare gli incontri riservati tra il legale e Mancuso, quando questi si sottraeva agli obblighi di misura di prevenzione rendendosi irreperibile. Incontri finalizzati non solo per discutere questioni inerenti la difesa del boss, ma anche per ricevere incarichi da Mancuso, per raccomandazioni, facilitazioni, interventi finanziari per canalizzare le scelte strategiche di un istituto di credito.

Il doppio binario difensivo. Il collegio difensivo di Pittelli, gli avvocati Salvatore Staiano, Guido Contestabile ed Enzo Galeota sono pronti a ricorrere in Cassazione contro la decisione del Riesame di confermare la misura cautelare in carcere per il loro assistito. Ma i legali hanno anche già proposto ricorso al Tdl contro il provvedimento del gip che ha negato all’indagato, ristretto nel carcere di Nuoro, i domiciliari fuori regionale con l’uso del braccialetto elettronico. L’udienza è già stata fissata per il 23 aprile prossimo.

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