Cronaca

Reggio, la seconda guerra di ‘ndrangheta e il profilo del “killer spietato”

La carriera di "Enzo" Zappia, attualmente detenuto per altra causa, ritenuto un uomo d'azione vicino ai De Stefano all'epoca contrapposti allo schieramento capeggiato dai Condello

guerra di ndranghete

Tra il 1985 ed il 1991 la città di Reggio Calabria fu teatro di un cruento scontro armato tra le cosche passato alla storia come “seconda guerra di ndrangheta”, all’esito della quale venne ridefinita la nuova struttura gerarchica ed organizzativa della ndrangheta. Diverse sono le motivazioni che avevano spinto i clan ad entrare in guerra. Di certo, tra le cause scatenanti il conflitto, vi furono i dissidi insorti tra le cosche Imerti e De Stefano che avevano manifestato un certo interesse ad espandere la loro influenza sul territorio di Villa San Giovanni anche in previsione dei futuri interessi economici legati alla possibile realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina.

La “seconda guerra” di ‘ndrangheta. Il 16 febbraio del 1985, il boss Antonino Imerti alias “Nano Feroce”, contrae matrimonio con Giuseppa Condello sorella del boss Domenico inteso “Micu u Pacciu”, nonché cugina di Pasquale alias “Il Supremo”. Prima dell’inizio della guerra tra clan, i Condello erano federati ai De Stefano, in particolare Pasquale “Il Supremo” era uno degli uomini di fiducia del defunto boss Paolo De Stefano, la cui famiglia di ndrangheta guardò con forte preoccupazione all’unione tra le due cosche Imerti e Condello, ritenendo che da questo nuovo vincolo sarebbe potuta nascere una forte minaccia in grado di intaccare la loro egemonia sul territorio. Da qui la decisione dei De Stefano di compiere un attentato alla vita di Antonino Imerti, nei confronti del quale – in data 11 ottobre 1985 – venne fatta esplodere un’autobomba a Villa San Giovanni che causò la morte di alcuni suoi affiliati ma non quella del boss. In risposta al cruento attentato, due giorni più tardi, il 13 ottobre 1985, un commando armato formato da esponenti del clan Imerti – Condello entrò in azione nel quartiere di Archi, cuore del territorio dei De Stefano, uccidendo in un agguato il boss Paolo. È questo l’evento che sancisce l’inizio della seconda guerra di mafia a Reggio Calabria, con la violenta contrapposizione tra le famiglie di ndrangheta presenti sul territorio e sostanzialmente suddivise in due cartelli: quello “Condelliano” del quale facevano parte le famiglie mafiose degli Imerti, Saraceno, Fontana, Rosimini, Araniti, Lo Giudice, Serraino ed altri; quello “De Stefaniano” cui facevano capo, invece, le famiglie mafiose dei Tegano, Libri, Latella-Ficara, Barreca, Paviglianiti ed altre ancora. Oltre 700 furono i morti accertati all’esito dello scontro armato, che si concluse nell’anno 1991 con una pace concordata tra le famiglie mafiose del mandamento reggino, le quali si divisero il territorio in zone di influenza.

Il profilo di “Enzo” Zappia. Vincenzino, detto “Enzo”, Zappia è un personaggio dalla rilevante caratura criminale. “Sin da giovane – spiegano i carabinieri – è tra le figure più in vista nel panorama criminale reggino che si consacra, in modo particolare, durante la “seconda guerra di mafia”. Molto vicino al boss Giuseppe De Stefano, Zappia si è contraddistinto per essere un uomo d’azione, un killer spietato dello schieramento “De Stefaniano”, all’epoca dei fatti contrapposto a quello “Condelliano””.
La carriera di Zappia, attualmente detenuto per altra causa, è ben delineata nell’inchiesta giudiziaria “Il Padrino”, per la quale è stato tratto in arresto nel 2014 insieme ad altri numerosi esponenti delle cosche De Stefano–Tegano, tra loro federate, ad esito della quale veniva condannato alla pena di 17 anni di reclusione per associazione mafiosa. Ma già in passato altre indagini ne avevano ben tratteggiato il suo profilo delinquenziale. Era stato coinvolto, in particolare, nella ben nota inchiesta “Olimpia”, in conseguenza della quale aveva riportato un condanna a 6 anni di reclusione per lo stesso tipo di reato. Più recente (2017), invece, è la sua condanna ad oltre 13 anni di reclusione nell’ambito del processo sfociato dall’inchiesta “Il Principe”.

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