Cronaca

Scacco matto alla ‘ndrangheta, ricostruita la mappa del “crimine” a Vibo e nel Vibonese (VIDEO)

Disarticolate i più importanti clan operanti sul territorio: dai Mancuso di Limbadi ai Bonavota di Sant'Onofrio. Arrestato il capo dei capi Luigi Mancuso

Un’inchiesta monumentale destinata ad entrare nella storia. Questa mattina i carabinieri del Ros ed il Comando provinciale Carabinieri di Vibo Valentia, con il supporto dei Comandi Provinciali territorialmente competenti, di personale del Gis, del 1° Reggimento Paracadutisti Tuscania, del NAS, del TPC, dei quattro Squadroni Eliportati Cacciatori e dell’8° Elinucleo CC hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Procura Distrettuale antimafia nei confronti di 334 indagati, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, detenzione di armi, traffico di stupefacenti, truffe, turbativa d’asta, traffico di influenze e corruzione. Dei 334 indagati sottoposti alla misura cautelare, 260 sono stati ristretti in carcere, 70 agli arresti domiciliari e 4 sottoposti al divieto di dimora.
I provvedimenti cautelari sono stati eseguiti in Calabria e in varie province della Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania, Basilicata, nonché in Svizzera, Germania e Bulgaria. Nella medesima giornata si è data esecuzione anche a un decreto di sequestro preventivo di beni mobili e immobili per un valore complessivo di circa 15 milioni di euro.

Operazione “Rinascita”. I provvedimenti scaturiscono da un’articolata attività investigativa condotta dal Raggruppamento e dal Comando provinciale di Vibo Valentia in direzione del contesto ‘ndranghetistico vibonese, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Le indagini hanno consentito di ricostruire con completezza gli assetti di tutte le strutture di ‘ndrangheta dell’area vibonese e fornito un’ulteriore conferma dell’unitarietà della ‘ndrangheta, al cui interno le strutture territoriali (locali/ ‘ndrine) godono di un’ampia autonomia operativa, seppur nella comunanza delle regole e nel riconoscimento dell’autorità del Crimine di Polsi. Le risultanze hanno documentato: l’esistenza di strutture quali società, locali e ‘ndrine, in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirvi capillarmente ogni attività lecita o illecita; lo sviluppo di dialettiche inerenti alle regole associative, nello specifico, sulla legittimità della concessione di doti ad affiliati detenuti e sui connessi adempimenti formali; ’utilizzo di tradizionali ritualità per l’affiliazione e per il conferimento delle doti della società maggiore, attestato dal sequestro di alcuni pizzini riportanti le copiate; l’operatività di una struttura provinciale – il crimine della provincia di Vibo Valentia – con compiti di coordinamento delle articolazioni territoriali e di collegamento con la provincia di Reggio Calabria e il crimine di Polsi, quale vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria.

La mappa del “crimine” a Vibo e in provincia. Secondo quanto emerso dalle indagini a capo della struttura si sono alternati, negli anni, esponenti della cosca “Mancuso”, quali Giuseppe Mancuso (cl.1949),Pantaleone (cl.1961) e, da ultimo, Luigi Mancuso (cl. 1954), che proprio in tale ruolo di vertice ha governato gli assetti mafiosi della provincia, riuscendo anche a ricomporre le fibrillazioni registrate negli anni tra le varie consorterie. Oltre ad acclarare l’esistenza del crimine della provincia di Vibo Valentia, le investigazioni hanno consentito di censire l’esistenza di diverse locali, a iniziare da quello di Limbadi, egemonizzata dalla cosca “Mancuso”, avente quale capo Luigi Mancuso che, anche durante la sua detenzione, impartiva le disposizioni o comminava agli altri sodali le sanzioni, curava i rapporti con le altre articolazioni vibonesi, dirimeva i contrasti interni ed esterni e curava, talora anche personalmente, la conduzione delle varie attività criminali. I principali collaboratori del Luigi Mancuso sono stati individuati in Pasquale Gallone, Giovanni Giamborino e nella coppia Gaetano Molino- Gianfranco Ferrante; locale di Vibo Valentia città, la quale riunisce le ‘ndrine dei “Lo Bianco-Barba”, che ha tra i suoi elementi apicali Paolino Lo Bianco, Filippo Catania, Antonio Lo Bianco, Vincenzo Barba e Raffaele Franzè, inseriti nella società maggiore di Vibo Valentia. Gli ultimi due fungevano anche da contabili della ‘ndrina; “Camillò-Pardea Ranisi”, operante nei quartieri cittadini di Cancello Rosso e di San Leoluca, capeggiata fino al maggio 2016 da Andrea Mantella, poi divenuto collaboratore di giustizia; “Pugliese Cassarola”, al cui vertice è risultato Rosario detto Saro Pugliese; locale di Filandari e Ionadi, capeggiata da Leone e Giuseppe Soriano, dell’omonima cosca; locale di Mileto, sotto l’egida della cosca “Pititto-Prostamo-Iannello-Mesiano”. Un suo componente, Giuseppe Mangone, curava il collegamento con la locale di Limbadi e si occupava della compravendita e gestione di terreni; il locale di Piscopio di Vibo Valentia, diretta da Salvatore Giuseppe Galati che annovererebbe tra gli affiliati anche l’esponente politico Pietro Giamborino, che avrebbe anche mantenuto i rapporti con membri di altre articolazioni della ‘ndrangheta (segnatamente i “Fiarè”, i “Razionale” ed i “Gasparro”) e curato le relazioni con settori della pubblica amministrazione e delle professioni per la risoluzione dei problemi dell’organizzazione; locale di San Gregorio d’Ippona, guidata dalle cosche “Fiarè-Razionale-Gasparro”. Elementi apicali sono risultati Saverio Razionale e Gregorio Gasparro, il primo anche con compiti di gestione economico-finanziaria della struttura. Saverio Razionale è anche ritenuto componente del crimine dell’intera area Vibonese, in stretto rapporto con esponenti di primo piano di altre articolazioni della ‘ndrangheta, compresi Luigi Mancuso e Giuseppe Antonio Accorinti, “nonché con colletti bianchi – sostengono gli inquirenti – quale l’avvocato Giancarlo Pittelli, massone ed ex-parlamentare”; locale di Stefanaconi, capeggiata da Salvatore Patania, elemento dell’omonima cosca, in rapporti stabili con i “Lo Bianco-Barba” di Vibo Valentia; locale di Sant’Onofrio, diretta dal capo società Pasquale Bonavota, dell’omonima cosca, coadiuvato da Domenico e Nicola Bonavota, nonché da Domenico Cugliari.

Il summit di ‘ndrangheta. Le indagini hanno anche documentato un summit, avvenuto nel maggio 2017, finalizzato a ricomporre pregressi dissidi tra i “Bonavota” ed i “Mancuso”, con conseguente riavvicinamento alla società di Sant’Onofrio al crimine vibonese. In tale circostanza, gli affiliati hanno discusso anche sulle doti e sulle cariche e sulle procedure di formalizzazione di una locale. Nella sfera d’influenza santonofriese sono state ricondotte anche la ‘ndrina di Pizzo e quella di Filogaso e Maierato, diretta da Salvatore Francesco Mazzotta che tra l’altro gestiva, anche direttamente, le attività imprenditoriali d’interesse, intestate a prestanome e manteneva rapporti con l’amministrazione comunale di Pizzo, convogliando i pacchetti di voti sui candidati vicini alla ‘ndrina; locale di Zungri, sotto l’influenza delle cosche “Accorinti-Barbieri-Bonavena” e diretta da Giuseppe Antonio Accorinti, esponente apicale anche a livello provinciale. Subordinate all’articolazione zungrese sono risultate le ‘ndrine di Briatico, Cessaniti e Vibo Marina; le ‘ndrina di Tropea, attiva anche a Ricadi, ove è stato accertato il ruolo di co-dirigenza esercitato da Antonio La Rosa e Francesco La Rosa in costante collegamento con la consorteria dei “Mancuso” di Limbadi. In merito alla cosca “Mancuso”, oltre al ruolo di polo di riferimento dell’ampia rete delle strutture ‘ndranghetiste vibonesi, è chiaramente emersa anche la sua rilevanza a livello extraprovinciale, dimostrata sia dagli attuali e strutturati rapporti, finalizzati al mutuo soccorso ed allo scambio di favori criminali, instaurati, tra gli altri, con i “De Stefano” di Reggio Calabria e i “Piromalli” di Gioia Tauro, sia dai rapporti intrattenuti con esponenti di cosa nostra, databili all’epoca pre-stragista.

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