Il procuratore Lombardo “svela” i rapporti tra ‘ndrangheta e “Cosa Nostra”

La mafia è riuscita a nascondere la sua vera natura e le sue connivenze con altre rappresentanze sociali, imprenditoriali, politiche, istituzionali

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Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto alla Procura Antimafia di Reggio Calabria dialoga con Giovanni Tizian, giornalista e direttore artistico di “Trame Festival dei libri sulle mafie” che è in corso a Lamezia da mercoledì scorso e che si concluderà domani.

Il titolo dell’appuntamento è evocativo, sottolinea il moderatore, perché silenzi e indifferenza sono temi centrali per comprendere a che punto siamo e quanto ancora ci sia da fare. Si parte dal 1992; allora esisteva una percezione distorta della Calabria e della ‘ndrangheta, afferma Lombardo, nato e cresciuto nella Locride: non si trattava di un gruppo di straccioni e disperati in un territorio problematico ma già di un laboratorio criminale evoluto.

La forza della componente ‘ndranghetista è, per Lombardo, l’essere riuscita a nascondere la sua vera natura e le sue connivenze con altre rappresentanze sociali, imprenditoriali, politiche, istituzionali.

È lì che bisogna arrivare, alle componenti più nascoste che celano reti apicali, per “riconoscere il fenomeno nel momento in cui si presenta con caratteristiche diverse da quelle che finora ci hanno raccontato”, sostiene. Un esempio delle ramificazioni pervasive e a lungo celate della criminalità organizzata siciliana e calabrese è rappresentato, per il procuratore, dalla Lombardia che già nei primi anni ’70 era nota come il quarto mandamento.

‘Ndrangheta e Cosa Nostra, insieme alle mafie minori, formavano un consorzio definito dai collaboratori di giustizia “Cosa Unica”, composta da tutti i territori dove si fosse insediata la criminalità organizzata: dove si riscontrava un elemento criminale, vi si poteva identificare anche l’altro in una sorta di convergenza operativa.

Lombardo ha sottolineato quindi l’importanza di informare correttamente, a partire dall’eliminazione della distorsione mediatica rispetto all’obbligo di investigazione, costituzionalmente sancito, che spetta al pm e al lavoro della magistratura per la ricerca della verità. “Bisogna stabilizzare le regole del gioco per assicurare la tenuta del sistema democratico. Il vero obiettivo dei sistemi mafiosi evoluti non è infatti l’arricchimento fine a sé stesso ma l’individuazione di un potere reale che possa influire sulla tenuta democratica di un Paese”, ha ribadito il magistrato. Per Lombardo bisogna, quindi, da parte della magistratura, lavorare con metodo scientifico perché l’impegno di oggi possa servire a chi verrà domani, in un gioco di squadra oltre gli individualismi. È lo spirito che ha guidato il Pool Antimafia di Palermo e che è essenziale per assicurare i colpevoli alla giustizia.