L’INTERVENTO | Scuola, giù le mani dal tema d’italiano

L'ipotesi è quella di abolire il tema scritto di italiano agli esami di maturità

Esami di maturità

La scuola ci salverà! Un super mantra su cui approfondire la meditazione. Non riconducibile ad appena una formula da recitare, ma a una precisa filosofia di vita, da cui dipende la sorte della comunità e del paese. Parole che riecheggiano nella mente degli uomini sin da quando, gli analfabeti, era urgente si alfabetizzassero e per il bene proprio e della collettività.
La scuola è l’alfa e l’omega di ogni generazione. Non si prescinde mai dalla scuola. È essa il genius loci che accompagna le evoluzioni delle ere e delle specie. Non intesa esclusivamente come luogo, ma forma mentis, modus operandi.

La scuola modera l’impatto dell’individuo con gli altri, con il mondo che lo circonda, aiutandolo a sentirsi parte di esso, instaurando con i suoi pari, rapporti umani. Ed è in essa che prende vita, quale centro unico di formazione interpersonale, il pensiero libero, il solo con cui l’individuo si scopre in grado di concepire, secondo le proprie capacità, il senso della propria esistenza, e all’interno della realtà sociale in cui si è collocato per scelta propria.
Un’adesione di massa, al sapere e alla conoscenza, favorisce non soltanto lo sviluppo della persona in quanto tale, ma consente l’evoluzione della sua progressione ed espressività.
Ma la verità attuale, è tutt’altra. Della salvazione della scuola, infatti, da cui le comunità avrebbero dovuto ripartire in maniera sistematica dopo ogni crisi di genere, dagli anni ’70 del ‘900 in poi, a tutt’oggi, non v’è che un lontanissimo e illusorio miraggio. La scuola diventa, purtroppo, ripetutamente vittima di becere riforme governative e partitiche, al di là di ogni suo valore e di ogni sua integrità. Ministro che arriva riforma che attua. Ma le riforme, purtroppo, non sempre si rivelano autentiche rivoluzioni, capita infatti che, proprio riformando, un sistema rischia di arretrare. E la scuola italiana va al passo del gambero. Indietro anziché avanti.

Nelle varie trasformazioni, nei passaggi di mano, di governo in governo, l’istituzione scolastica, perde la sua naturale autenticità, tanto da svilire il suo valore etico e morale. Subisce infatti, la più frammentata e inarrestabile delle rivoluzioni riformiste. Bene una scuola progressista, digitalizzata, ma mai una scuola che rimuova dalla sua base, l’essenzialità dell’umanistica.

I veri maestri, nella prima declinazione della scuola, avvertivano, e come esigenza naturale, il dovere morale di rispondere ai propri scolari sulla base delle necessità intime di ognuno, come esseri umani; nella sfera scolastica odierna, invece, il sistema subisce modifiche strutturali al suo stesso umanesimo, e i nuovi maestri, sulla base di linee guida riformiste, ad altro non possono attenersi, se non all’obbligo ‘istituzionale’, impartitogli dagli enti centrali che sulla scuola disfano e fanno, basato su schemi e progetti preimpostati, secondo cui a valere non è più l’attitudine naturale dello studente, ma le competenze che questo acquisisce, e nel ruolo esclusivo di soggetto da istruire. Insomma, la scuola cambia. Finisce l’aspetto umano della scuola di educazione, e per trasformarsi in agenzia di formazione, con il criterio esclusivo della valutazione.

Alle soglie del 2022, nel bel mezzo di una inattesa quanto irriducibile pandemia, dovuta al diffondersi del virus Covid19, la scoperta eclatante, che mai avremmo pensato di dover fare, da sempre educati a una scuola “salvatrice”, è una scuola che, invece, palesa la sua necessità di essere salvata. A partire dal suo tema.

Dopo decenni di gestione sempre più alterata, linee guida ripetutamente cambiate, programmi rivisitati e a volte anche disfatti, se si pensa alla riforma con cui vennero esclusi dallo studio gli autori meridionali del ‘900; progetti integrati prima e poi cancellati in corso, post pandemia, tocca al tema di italiano. Il vero e solo marcatore distintivo identitario che la scuola abbia mai avuto. Un atto di violenza che la scuola non merita, e gli studenti neppure. L’ipotesi è quella di abolire il tema scritto di italiano agli esami di maturità. Una presa si posizione balorda, che certamente, in termini pandemici, non salverà dalla diffusione del Covid i nostri ragazzi, bensì penalizzerà la loro crescita umana, già abbastanza provata.

La scuola nasce da e con il tema di italiano, l’unica forma libera di espressione, attraverso cui lo studente riesce a essere profondamente sé stesso. Eppure i temi in classe si usano poco, in alcuni casi non si usano più. Le riforme e controriforme, hanno ben pensato di aggredire il sistema scolastico produttivo di uomini e donne, sostituendo la classicità del tema, con la comprensione del testo scritto. Un metodo nuovo che permette certamente di scandagliare la competenza linguistica del soggetto-studente, ma che non aiuta in alcun modo a comprendere chi sia lo studente stesso. Un aspetto che però non sembra interessare più a nessuno. L’annullamento del tema di italiano, agli esami di maturità, perpetrerebbe, a mio modesto avviso, l’ennesimo delitto nei confronti della ‘buona’ scuola. Un danno compiuto oggi, che chiederà il suo conto salato domani.

La scuola è sempre stata una fucina di opportunità, ma quella data dal tema, non l’ha mai ridata nessun altra cosa. Scrivere è una scommessa che lo studente fa con il proprio io narrante. Una di quelle che porta dritte alla vita. Insomma, l’incipit di ogni singola storia. Personalmente, con i quaderni a righe, ho avuto sempre un ottimo rapporto. Ancora di più con i fogli di protocollo.

Nel mio primo compito in classe, il primo anno delle superiori, presi un bel 4 stampato. Lo avevo fatto direttamente in bella copia, e alla professoressa non era proprio piaciuto. Secondo il suo principio, avevo, senza ombra di dubbio, copiato.

Non era vero. Scrivere per me era talmente naturale e bello, che di fare il compito in brutta copia non ci avevo neppure pensato. Anzi i fogli della brutta, mi avevano consentito di scrivere ciò che in un foglio solo, di bella, non mi sarebbe entrato. Da allora sono passati tanti anni, ma se dovessi scegliere ciò che più, durante gli anni scolastici, ha contribuito alla mia formazione, senza dubbio direi il tema di italiano. Non sono mai stata molto brava a parlare, mi è sempre mancato il coraggio di dire ciò che pensavo. Bastava menzionassero il mio nome, e il viso mi si colorava di un rosso che difficilmente non si faceva notare. Mettersi a nudo, con i sentimenti, le emozioni, davanti agli altri non è mai facile. Il tema compensava quelle mie difficoltà, e da taciturna che ero, davanti a un foglio bianco, mi trasformavo in una perfetta logorroica.

Il foglio a righe, era una forma di libertà assoluta, scoperta già alle elementari, quando mi bastava una banalissima traccia, del tipo “come hai trascorso le vacanze di Natale”, che fiumi di parole, sentimenti, metafore, similitudini, le liberavo lì senza vergogna. Con un verismo di cui forse non ero neppure pienamente cosciente. Il tema di italiano mi ha dato la forza di rinascere diverse volte, ha stimolato le mie inibizioni, contribuendo alla mia crescita personale. Mi ha permesso di scoprirmi quella che non sapevo di essere, intercettando i miei nascosti desideri. Permettendomi di esprimermi e riconoscermi come una studentessa unica, come unici erano i miei compagni. Perché ognuno di noi era proprio nel tema che si scopriva diverso dell’altro, che riusciva a conquistare la propria identità. Il tema non lo copiava nessuno, era il risultavo di ciò che ognuno di noi provava dentro. E non poteva essere suggerito un sentimento, e neppure poteva essere passata, su un foglietto di carta, da un banco all’altro, la formula di un’emozione. Il tema, oltre ogni formula aritmetica che non dava scampo, e neppure il benché minimo beneficio del dubbio morale, non trattandosi di un’opinione, presentava ognuno di noi così come eravamo, con la propria originalità.

La parola scritta, superava quella parlata. Rendeva assoluto il concetto di libertà, e presentava senza veli, la profondità dell’animo umano che, sin da bambini, è assoluta e unica dentro ogni individuo. Alla maturità, sotto la felpa, indossai una maglia bianca, con una cartuccera a livello della vita, che mi ero fatta cucire da mia madre. I miei compagni avevano timore che l’ansia non gli avrebbe permesso di scrivere nulla, e allora copiare era un’alternativa che bisognava avere. E avevano coinvolto anche me.

Non copiai, nonostante i più di 50 temi, accartocciati ognuno nel proprio taschino, non lo feci. I mie compagni nemmeno. La maturità era quell’istante in cui, non era la scuola, ma noi stessi a firmare la liberatoria dei traguardi che in quegli anni avevamo raggiunto. Che non erano i voti con cui eravamo stati presentati all’esame, o quelli con i quali ne saremmo usciti, ma la capacità di fronteggiare la vita che la fuori già ci aspettava come uomini e come donne.
Il tema aveva contribuito a tutto questo. Non era la comprensione del testo quello su cui la scuola aveva puntato che raggiungessimo, ma la comprensione di noi stessi. Una maturità che senza il tema di italiano non avremmo mai avuto.

L’avvento del Covid, e la successiva dichiarata pandemia, ha stravolto la scuola, chiedendo spirito di adattamento come succede nelle grandi crisi. Adattarsi però non vuol dire cambiare, e modificare non significa togliere. Il tema è metafora di crescita umana. Crescere è un’azione che non può essere né cambiata né modificata. La scuola risulterebbe colpevole di aver tolto un’occasione importante, offerto un’opportunità in meno. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. “È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.(Albert Einstein)”

Più informazioni