L’INTERVENTO | Fusione dei Comuni non sminuisce le identità urbane

Le classi dirigenti sono chiamate a misurarsi in ogni ambiente storico con una visione strategica lungimirante e dinamica

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La fusione dei Comuni, entità istituzionali formatesi intorno alla metà del 1806, non sminuisce l’identità delle unità urbane precedenti bensì le esalta nella dimensione storica durante la quale la nuova comunità è in grado di fruire ottimamente i servizi che essa elargisce.

L’ente Comune, poiché non è soltanto un simbolo di mera appartenenza, per essere riconosciuto e vissuto concretamente dai suoi figli deve avere la capacità di rappresentare con i suoi organi elettivi una soggettività in grado di relazionarsi per dare valore ai beni materiali e immateriali di cui dispone. Perciò, per rendere protagonisti i suoi cittadini, in una realtà strutturalmente mutata profondamente nelle dinamiche dello sviluppo economico e sociale, le classi dirigenti sono chiamate a misurarsi in ogni ambiente storico con una visione strategica lungimirante e dinamica. Cosicché, in questa fase di mondializzazione delle tecnologie che animano lo sviluppo in ogni campo economico, l’ente che li rappresenta deve avere la capacità di modellarsi e trovare le forme con cui possa raggiungere al meglio gli scopi cui è statutariamente chiamato ad assolvere per essere in grado di competere sul mercato nazionale, europeo e globale.

Non è un caso se storicamente, nel processo di crescita dello sviluppo sul piano dell’uso produttivo dei beni materiali e umani posseduti, le forme urbane, territoriali, infrastrutturali e delle reti dei servizi offerti per il bene comune dei cittadini sono mutate quasi sempre unendo e mai dividendo.

Basta solo citare la crescita e l’espansione urbana di qualunque città e degli stessi minuscoli antichi casali, per dimostrare come il mutamento strutturale dell’economia provocato dalla prima rivoluzione industriale sul finire del ‘700 ha posto fine alla vecchia e insufficiente dimensione delle circoscrizioni comunali feudali. Così come è facilmente riscontrabile, non soltanto sul piano teorico bensì nella realtà fattuale, il miglioramento civile e il raggiungimento di un benessere diffuso per la loro comunità, l’unione dei precedenti Enti che anche in Calabria nel corso del ‘900 hanno avuto la lungimiranza di fondersi in un unico Comune.

Di per sé, sebbene non bisogna mai confondere il ruolo dell’entità istituzionale con gli organi elettivi dei suoi rappresentati temporali, la fusione di tanti minuscoli enti pone il nuovo aggregato nelle condizioni di potersi misurare agevolmente nell’inedita dimensione strutturale creata dalla quarta rivoluzione industriale tecnologica e dal web. Una estensione più vasta consente di sfruttare maggiormente strumenti più potenti e all’avanguardia. Oltre ai benefici finanziari disposti dalle leggi che ne incentivano la fusione, la nuova dimensione territoriale può ottimizzare non solo i costi di gestione di servizi ottimali come i trasporti locali, i servizi sanitari e le competenze svolte dai tanti enti periferici dello Stato e della Regione, ma può riproporre storicamente anche la centralità e la logistica di Valentia rispetto a qualunque snodo di sviluppo della Calabria e del Mezzogiorno nel suo insieme.

Gli investimenti dell’Eni, attuativi delle politiche industriali intuite da Enrico Mattei, nel 1962-68 con il Nuovo Pignone e la Snamprogetti, solo per citare due strutture industriali di alta tecnologia e progettazione con cui il nostro popolo ha potuto competere con il mondo intero, dimostrano altresì che i benefici non furono soltanto destinati agli abitanti vibonesi in quanto tali bensì ai tecnici, agli impiegati e naturalmente agli operai dell’intero territorio della Calabria. Essi, sebbene con nomi diversi, tuttora sono esistenti e, data la straordinaria posizione strategica nel Mediterraneo riconosciuta storicamente al territorio vibonese, potrebbero in una conurbazione istituzionale in grado di esercitare un peso politico adeguato riproporre con il Pnnr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) non già proposte di sviluppo effimere ma una innovativa politica industriale in grado di concretare una vera svolta per il rilancio economico del vibonese e della regione intera.

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