Cronaca

“Anteo”, Emanuele Mancuso racconta l’arsenale dei Fabiano: “Avevano armi da guerra”

Il pentito commenta anche lo spaccio di cocaina: "Gliel'ho venduta ad assai proprio… li ho massacrati... gliel’ho data a 70 euro al grammo"

MANCUSO ANTEO

Nell’operazione “Anteo“, che ha svelato quella che secondo gli inquirenti era un’associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti tra Catanzaro, Vibo e Reggio, un ruolo rilevante nelle indagini l’ha avuto il pentito Emanuele Mancuso, collaboratore di giustizia dal giugno del 2018. Come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, “risulta che Emanuele Mancuso abbia intrattenuto qualificati rapporti relazionali con i promotori e i partecipanti dell’associazione finalizzata al traffico di droga, con lo scopo di rifornire quel sodalizio di sostanze provenienti da soggetti appartenenti al circuito di narcotraffico a cui egli era organico”.

La cocaina a 70 euro al grammo: “Li ho massacrati”.
I rapporti illeciti – scrivono gli inquirenti – “non si sono limitati alla mera compravendita di sostanze stupefacenti, ma hanno riguardato, altresì, il complementare traffico di armi ed esplosivi (anche del tipo di guerra)”. Emanuele Mancuso, in particolare, “colloca l’origine del rapporto con i fratelli Fabiano nel settembre 2017 quando Damiano e Giuseppe Fabiano, a lui introdotti da Daniele Cortese, si erano presentati con del denaro per acquistare alcuni quantitativi di cocaina”. “A quanto vendevate voi la cocaina?” ha chiesto a riguardo la dottoressa Rizza. “Assai proprio… li ho massacrati – ha risposto Emanuele Mancuso – gliel’ho data 70 euro al grammo“.

Le armi in cambio della droga.
Damiano e Giuseppe Fabiano, i fratelli che cita Emanuele Mancuso, risultano indagati nell’inchiesta perché – si legge sempre nell’ordinanza di custodia cautelare – “in concorso tra loro detenevano illegalmente un indeterminato numero di armi da fuoco” che secondo gli investigatori avrebbero proposto a Emanuele Mancuso “quale contropartita per il pagamento di una precedente fornitura di sostanze stupefacenti”. Lo stesso Mancuso che, nel corso della collaborazione, “ha esplicitamente affermato di essere a conoscenza della grande disponibilità di armi in capo all’associazione criminale promossa e organizzata dai fratelli Fabiano, avendo ricevuto, reiteratamente, l’offerta delle armi, sia avendone ricevute alcune a saldo di un debito di Damiano Fabiano in relazione alla fornitura di sostanza stupefacente”.

“Mitra, kalashnikov, fucili, pistole, giubbotti antiproiettile…”.
Emanuele Mancuso ha descritto le armi che avrebbe ricevuto da Damiano Fabiano come “armi da guerra” che egli stesso avrebbe scelto, potendo consultare un “lungo elenco”, riportato su un foglio, di circa “venti o trenta armi differenti“, che “Damiano Fabiano gli aveva proposto tra quelle di cui la sua organizzazione aveva la materiale disponibilità”. Emanuele Mancuso ha parlato, invero, di una dotazione di “armi, munizioni e componenti vari […] mitra, kalashnikov, fucili, pistole…”, che sarebbero state “offerte in blocco da Damiano Fabiano per estinguere l’intero debito residuo, tra le quali lui e Daniele Cortese scelsero quelle da scontare per il valore i 2mila euro”. Il pentito ha quindi riferito di una “illimitata” disponibilità di armi, nonché di “materiale necessario all’utilizzo di esplosivi“: “Avevano tutto… giubbotti antiproiettileerano attrezzati di tutto… se non sbaglio ho sentito che avevano anche ordignibombe e cose varie”. Oltre a “armi di vecchia generazione ma funzionanti, fucili da caccia, fucili a canne mozze”. Il collaboratore ha poi affermato di non avere accettato l’estinzione del debito, integralmente, con il conferimento di armi. “I fratelli Fabiano avevano tuttavia chiesto – scrivono ancora gli inquirenti – di proporre l’acquisto delle armi a Salvatore Ascone da Limbadi (che il pentito descrive come ‘il mio fornitore di cocaina’), a cui il Mancuso aveva sottoposto il foglietto con l’elenco delle armi, che però non le volle“.

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