Cronaca

Rinascita, Mantella: “Ferrante? Era la Banca d’Italia della ‘ndrangheta”

Il collaboratore di giustizia parla dell'ex proprietario del Cin Cin Bar di Vibo: dal presunto ruolo nell'omicidio di Nicola Lo Bianco all'attività di usura

mantella andrea rinascita scott

Gianfranco Ferrante, noto imprenditore di Vibo Valentia ed ex titolare del “Cin Cin Bar”, era “la Banca d‘Italia della’ndrangheta, aveva grossi capitali e dava soldi agli altri usurai”. A definirlo così, nel corso del maxi processo “Rinascita Scott”, è l’ex boss vibonese – collaboratore di giustizia dal 2016 – Andrea Mantella. “Io Ferrante l’ho sempre conosciuto come un usuraio. Dava soldi agli altri usurai a 50, per intenderci in parole semplici, e loro li giravano a 100. Era una specie di broker che raccoglieva i soldi delle famiglie di ‘ndrangheta più influenti del Vibonese”.

“Non ti atteggiare che ti metto una bomba”.
“Quando vengo fuori dalla detenzione per l’omicidio Manco – racconta ancora Mantella nel corso dell’udienza di oggi nell’aula bunker di Lamezia – vedo Ferrante pomposo che si atteggiava per Vibo Valentia. E un giorno, in presenza di Enzo Barba detto ‘il musichiere’, gli ho detto ‘non ti atteggiare che ti metto una bomba e ti faccio arrivare il negozio all’ospedale’”. In ogni caso, spiega, tra loro il rapporto è andato avanti fino al 2016, quando poi Mantella ha iniziato a collaborare con la giustizia: “Si metteva sempre a disposizione, non c’è da considerarlo una vittima, faceva parte del sistema e anche lui ne traeva beneficio”.

I soldi trasferiti a Roma per “annebbiare una sentenza”.
“Ferrante dava i soldi a tutti quelli che praticavano usura”. E da chi prendeva i soldi Ferrante per fare questa attività? “Per conoscenza diretta so li prendeva da Michele Mancuso e dai Vallelunga. In particolare era legato con la parte diplomatica dei Mancuso, era di casa e di bottega nella fazione di Luigi Mancuso”. Addirittura, in un caso, per conto della cosca “doveva spostare alcuni soldi a Roma per annebbiare qualche sentenza: Ferrante doveva girare dei soldi a un professore che faceva parte della massoneria accomodante con la ‘ndrangheta”.

Gli affari nella droga e i messaggi di Mantella.
Ferrante “aveva finanziato una partita di droga tramite Francesco Scrugli e i Piscopisani – racconta Mantella – dicendogli ‘fammi guadagnare qualcosa, io ti do liquidità’. E lo Scrugli gli aveva promesso che il capitale non l’avrebbe perso e, se fosse andato a buon fine, gli avrebbero anche riconosciuto parte del guadagno”. Inoltre, afferma ancora il pentito, “ho utilizzato Ferrante per mandare qualche messaggio a Pantaleone Mancuso, detto ‘Scarpuni’, e ai figli di Damiano Vallelunga”. Che tipo di messaggi? “Non ero certo Marcellino pane e vino – ha risposto Mantella – si parlava di ‘ndrangheta non è che esercitavo la professione del prete”.

Il ruolo di Ferrante nell’omicidio di Lo Bianco.
“Ferrante aveva preso parte all’omicidio di lupara bianca di Nicola Lo Bianco, figlio di Camelo lo Bianco. Nicola si fidava di Ferrante – spiega il pentito – allora lui gli ha dato un appuntamento nella zona della biblioteca a Vibo, e i cugini di Pannaconi hanno visto Nicola essere spinto in macchina da alcune persone che se lo sono portati”. “L’ha tradito Gianfranco Ferrante – evidenzia Mantella – per fare un favore ai fratelli Campisi, perché Nicola Lo Bianco aveva contratto un debito sia usuario che di sostanze stupefacenti“.

L’estorsione all’Eurospin.
“Vengo contattato da Gianfranco Ferrante perchè c’era l’avvocato Renda che in un certo senso doveva aprire questa attività, l’Eurospin, a Vibo Valentia. Abbiamo fatto un incontro con questo Renda e Ferrante all’interno del Cin cin bar“. Prima dell’incontro, però, “Ferrante mi disse che Pantaleone Mancuso, detto ‘Scarpuni’, aveva chiesto se potevamo trattare Renda con i guanti bianchi perché lo stesso era interessato per una vicenda giudiziaria in Cassazione. Secondo me ci ha provato, credendo che fossi un fessacchiotto, a farmi desistere dalle mie richieste”. Mantella in ogni caso acconsente ma “stabiliamo con l’avvocato Renda che doveva, nonostante tutto, lasciare un pensiero a Pasqua e a Natale, in termini di soldi, e rimaniamo anche d’accordo per l’assunzione di alcuni dipendenti“.

L’autosalone a Vibo Valentia.
Non si tratta però dell’unica estorsione effettuata: “Ai tempi, era il 2002 o il 2003, i ragazzi – ovvero la manovalanza – hanno sparato contro le vetrate di un autosalone a Vibo. A quel punto il proprietario si rivolge a Ferrante che chiude l’estorsione, perché qualcuno gli aveva detto che se voleva stare in pace e tranquillo doveva sistemare la situazione con Andrea Mantella, e che io potevo essere avvicinato tramite Ferrante. Loro erano giocatori di carte insieme, si vedono, e Ferrante dice ‘non c’è problema con Andrea, è già fatta’”. “Sarà quindi Ferrante a prendere i soldi, 25-30mila euro. E poi io – conclude Mantella – ho diviso i soldi con Paolino Lo Bianco, Vincenzo Barba e Filippo Catania. Più il contributo ai ragazzi”.

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