La ‘ndrangheta non è “coppola e lupara” ma è “molto più raffinata, un’organizzazione strutturata”. Al punto che il capo-crimine non è un capo assoluto ma è un po’ “come un presidente della repubblica, custode della ‘costituzione’, delle regole di ‘ndrangheta”. A spiegarlo, nell’udienza di oggi del processo Rinascita-Scott nell’aula bunker di Lamezia Terme, è il pentito Luigi Bonaventura, 50 anni di Crotone. I primi testimoni ascoltati nel maxi procedimento contro la ‘ndrangheta, infatti, sono stati chiamati a parlare del “crimine”: “Una dote alta, altissima, grazie alla quale si può anche formare un mandamento; è una carica importantissima che non hanno tutti, non è una cosa da poco”, per usare le parole del pentito Angelo Cortese – ascoltato anche lui questo pomeriggio – che questa dote l’ha ricevuta personalmente.
È poi Bonaventura a spiegare più dettagliatamente di cosa si tratta, secondo la sua visione: “Nella ‘ndrangheta esistono due capi. Uno supremo che è rappresentato da un capo-crimine, che non è il capo assoluto perchè non esiste nella ndrangheta: sia perché le famiglie sono troppo orgogliose, sia a salvaguardia dell’organizzazione stessa perchè così non si può decapitare”. È lui che funge da “presidente della repubblica” che custodisce le “regole” dell’organizzazione (ad esempio le norme per aprire una “locale”). E poi c’è un’altra figura “che viene chiamato pure crimine, ma gestisce solo un’area di ‘locali’ e deve sempre dare conto alla ‘mamma’, al Crimine (inteso come struttura di governo, ndr) di Polsi”. A riguardo, rispondendo a una specifica domanda del pm Annamaria Frustaci – “Vibo aveva un crimine?” – un altro pentito, Giuseppe Vrenna, ha affermato: “Si, io sapevo che ce lo avevano i fratelli di Luigi Mancuso, Antonio e Francesco se ricordo bene”.
La figura dell’invisibile: l’asso di denari coperto con l’asso di coppe.
Ma sopra il capo-crimine c’è un’altra carica? “Non so se è proprio una carica – ha risposto Luigi Bonaventura – ma c’è questa figura dell’invisibile”. E per far capire l’importanza di tale “figura” il collaboratore ha anche fatto riferimento alla simbologia delle carte napoletane. “Abbiamo denari, spade e mazze, il palo che viene scartato è coppe. Ogni carta ha una simbologia: si parte dal re di denari, di spade e di bastone che hanno una simbologia. Poi si passa ai cavalieri, alle donne, e poi si continua solo con i denari: il 7 di denari ha un significato, il 6 un altro e via discorrendo”. Questo fino ad arrivare all’asso, sempre di denari, che è appunto l’invisibile: “È il tesoro, che dev’essere coperto sempre”. Anche simbolicamente, infatti, viene coperto con l’asso di coppe.
Gli “invisibili” avevano il compito “di sedersi al tavolo con gli ambienti massonici”. “Facevano da collettori tra il mondo ‘ndranghetistico e altri poteri – evidenzia il pentito Bonaventura – per questo devono restare invisibili: non sono persone affiliate regolarmente come i classici ‘ndranghetisti, però fanno parte di entrambi i mondi”. Tanto che nella sua famiglia avevano questo ruolo – secondo Bonaventura – “soprattutto quelli che facevano parte della parte imprenditoriale”, ovvero Raffaele e Tonino Vrenna, “fratelli solo all’anagrafe” per via della necessità di coprire un tradimento. I due non vengono specificati ulteriormente, il collaboratore dice solo che “Raffaele è stato inquisito più volte, ha avuto una condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, ma dopo in appello è stato assolto”. Mentre Tonino Vrenna “non ricordo che abbia avuto questioni processuali se non forse di lieve entità”. Nessuno dei due nomi, è importante precisare, figura tra gli indagati o gli imputati del procedimento Rinascita Scott.