Cronaca

Dossier Dia, la mappa (in aggiornamento) delle cosche di ‘ndrangheta nel Vibonese

Nella relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia si parla anche del rapporto dei clan con i “grandi” della massoneria deviata

ndrangheta vibo

Nella relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) di Catanzaro, inerente al semestre luglio-dicembre del 2019, un paragrafo è dedicato alla ‘ndrangheta vibonese. Un punto fermo, ormai ampiamente noto, viene messo sin dall’inizio: la provincia di Vibo Valentia è caratterizzata dalla ormai consolidata presenza della famiglia Mancuso di Limbadi che, insieme alle cosche satellite, è caratterizzata da una pericolosità sia di tipo “militare” che di capacità infiltrazione nella politica e nell’imprenditoria. Grazie alla maxi operazione Rinascita Scott, infatti, sono emersi i continui e costanti contatti dei clan con esponenti politici, professionisti, rappresentanti delle istituzioni e imprenditori “con annessi segmenti deviati della massoneria”.

I “grandi” della massoneria e l’intercettazione del boss Mancuso

Gli investigatori, coordinati dalla Dda di Catanzaro, sono riusciti a ricostruire il “coacervo di relazioni tra i ‘grandi’ della ‘ndrangheta calabrese e i ‘grandi’ della massoneria deviata, tutti ben inseriti nei contesti strategici (giudiziario, forze armate, bancario, ospedaliero e via dicendo)”, in ragione di quello che è stato definito un vero e proprio “pactum sceleris”. E non si tratta di relazioni secondarie, meno importanti: dagli atti di Rinascita Scott emerge chiaramente che queste relazioni “avrebbero visto protagonista”, per la ‘ndrangheta, anche lo stesso boss della cosca Mancuso. Con le competizioni elettorali falsate dai “candidati ‘massoni’” che venivano appoggiati “dagli appartenenti segreti chiamati ‘Sacrati sulla Spada’, ovvero dei criminali che facevano catalizzare su di loro i voti”. Tra gli atti della maxi operazione che il 19 dicembre scorso ha portato all’arresto in via cautelare di di 338 persone (260 in carcere, 73 ai domiciliari e 5 divieti di dimora), viene ripresa una vecchia intercettazione del boss Pantaleone Mancuso (deceduto) che parla di ‘ndrangheta e massoneria come fossero un’unica cosa: “La ‘ndrangheta non esiste più!…una volta, a Limbadi, a Nicotera, a Rosarno, a…c’era la ‘ndrangheta!…la ‘ndrangheta fa parte della massoneria!… diciamo… è sotto della massoneria, però hanno le stesse regole e le stesse cose… ora cosa c’è più?… ora è rimasta la massoneria e quei quattro storti che ancora credono alla ‘ndrangheta! una volta era dei benestanti la ‘ndrangheta!… dopo gliel’hanno lasciata ai poveracci, agli zappatori… e hanno fatto la massoneria!… le regole quelle sono!… come ce l’ha la massoneria ce l’ha quella! perché la vera ‘ndrangheta non è quella che dicono loro…, perché lo ‘ndranghetista non è che va a fare quello che dicono loro… perché una volta, adesso sono tutti giovanotti che vanno.., vanno a ruota libera sono drogati!…”.

Le cosche attive e la contrapposizione ai Mancuso

Tra le cosche censite nel corso delle indagini, oltre al coinvolgimento dei vertici dei Mancuso del locale di Limbadi, figurano i La Rosa di Tropea, i Fiarè-Razione-Gasparro che hanno la loro egemonia territoriale nella zona di San Gregorio d’Ippona, i Lo Bianco-Barba e i Camillò-Pardea sempre attivi a Vibo Valentia città, gli Accorinti del locale di Zungri, i Piscopisani del locale di Piscopio, i Bonavota del locale di Sant’Onofrio, i Cracolici tra le ‘ndrine di Filogaso e Maierato, i Soriano di Filandari, Ionadi e San Costantino, i Pititto-Prostamo-Iannello della società di Mileto, i Patania del locale di Stefanaconi ed altri gruppi-‘ndrine collegati, tra cui nella zona marina quella dei Mantino-Tripodi. “Il panorama criminale nella provincia di Vibo Valentia – si legge nella relazione della Dia – conferma la contrapposizione tra il locale di Piscopio e i Mancuso. Analoga insofferenza verso l’egemonia della famiglia di Limbadi è stata, nel tempo, manifestata anche dagli Anello-Fruci (colpiti dall’operazione “Imponimento” del 21 luglio dalla quale emerge una raggiunta pace con la cosca Mancuso, ndr), stanziati nella zona dell’Angitola (estremità nord della provincia), dai clan Vallelunga-Emanuele (operanti nell’area delle ‘serre vibonesi’, estremità orientale della provincia) e dal gruppo Bonavota (di Sant’Onofrio, a nord di Vibo Valentia)”.

Le ramificazioni fuori dalla Calabria

Dalle indagini degli ultimi anni, compresa la maxi inchiesta Rinascita Scott, è emersa una ramificazione delle cosche vibonesi anche fuori dal territorio calabrese. La relazione della Dia cita il caso della capitale, Roma, in cui “è stata creata una rete di negozi operanti nel settore calzaturiero” ed è stata aperta una fabbrica “attraverso un circuito societario facente capo a società di diritto britannico controllate da articolazioni dell’associazione”. Oppure il caso di San Giovanni Rotondo, in Puglia, dove “è stata acquistata una struttura turistico-alberghiera in società con imprenditori lombardi in difficoltà economiche”. Le attività imprenditoriali della ‘ndrangheta vibonese si sono però estese anche all’estero, nel Regno Unito, tramite “la creazione di reti societarie, necessarie a simulare operazioni commerciali per ripulire il denaro di provenienza delittuosa, successivamente investito in imprese attive sul territorio italiano”.

La struttura della ‘ndrangheta (vibonese)

Gli investigatori hanno, in questo contesto, ricostruito la struttura della ‘ndrangheta, confermandone l’unitarietà “sulla base delle regole formali e dei livelli gerarchici e funzionali (doti, cariche) propri del ‘crimine di Polsi’”. Ci sono quindi una serie di articolazioni territoriali e funzionali: innanzitutto ci sono le ‘ndrine, che sono le cellule criminali di base che operano su un territorio corrispondente ad un comune o parte di questo come una frazione o una contrada; queste rispondono criminalmente del loro operato ad una locale/società presso cui sono “attivate”, le quali che insistono su un territorio generalmente corrispondente ad un comune ed esercitano autonomamente il potere ‘ndranghetistico sul territorio di competenza, rimanendo però collegate al “Crimine di Polsi” – da cui sono riconosciuti – direttamente o attraverso organismi intermedi; queste strutture intermedie sono il crimine/criminale locale, la camera di controllo, il mandamento, la “provincia”: si tratta di organismi a cui fanno capo più ‘ndrine e locali – quindi un territorio corrispondente a una provincia o una regione o anche un territorio estero – che “assicurano il collegamento con la ‘provincia’ di Reggio Calabria e il ‘crimine di Polsi’ da cui sono riconosciute”; quest’ultimo, il “crimine di Polsi”, è considerato “organo di vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria (come definitivamente riconosciuto dalla Corte di Cassazione all’esito del processo ‘Crimine’)”. (a.s.)

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