Cronaca

L’evoluzione della ‘ndrangheta, dossier della Dia: “Giovani leve nelle migliori università”

Dall’apprezzamento dei narcos sudamericani ai 43 locali nel Nord Italia, passando da vecchi riti mai in disuso all'attenzione per la modernità. La Dia: “Superare ogni forma di negazionismo”

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La relazione della Direzione investigativa antimafia di Catanzaro, in riferimento al secondo semestre (luglio-dicembre) del 2019, riferisce ancora una volta l’immagine di una ‘ndrangheta “silente”, che si muove nell’ombra, ma non per questo meno pericolosa. Una criminalità organizzata che continua a essere molto attiva “sul fronte affaristico imprenditoriale” al punto da diventare “sempre più leader dei grandi traffici internazionali di droga”. Una ‘ndrangheta, in estrema sintesi, “in costante ascesa per ricchezza e ‘prestigio'”.

Colletti bianchi ma anche violenza e estorsioni

Nella relazione, che fa continui riferimenti a operazioni di polizia avvenute in tutta Italia, non manca il riferimento alla maxi inchiesta “Rinascita Scott” della Dda di Catanzaro. È proprio dalla “più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo” (come l’ha definita il procuratore Nicola Gratteri) che emerge una “duttilità criminale” che si manifesta nei più diversi settori dell’illecito, come quello connesso ai reati ambientali ma non solo. L’inchiesta ha confermato infatti “l’oramai consolidata capacità di infiltrazione nell’imprenditoria, attuata con meccanismi sempre più sofisticati, grazie al contributo di professionisti collusi, e documentata da numerose intestazioni fittizie e da svariate operazioni di riciclaggio, svolte a partire dalla provincia vibonese per arrivare fino a Roma e all’estero”. “Particolarmente significativa peraltro – scrive la Dia nella relazione semestrale – è risultata la costante ricerca di contatti con esponenti politici, massoni deviati, influenti professionisti, rappresentanti delle istituzioni e dell’imprenditoria, finalizzata al perseguimento di fini illeciti. Si fa riferimento, ad esempio, ad un noto professionista e politico catanzarese, nonché a un amministratore locale del Comune di Pizzo Calabro, risultati in rapporti diretti con esponenti delle consorterie criminali”. Se però, da un lato, si parla di una ‘ndrangheta sempre più da “colletti bianchi”, al tempo stesso la consorteria non ha mai rinunciato alla pressione estorsiva e all’usura in danno di commercianti e imprenditori locali, al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti ed alla commissione di omicidi e di altre condotte violente.

I pochi pentiti e la “leva” della crisi economica

Le cosche di ‘ndrangheta, nonostante qualche eccezione, continuano a restare forti grazie anche alla capacità di preservarsi “quasi del tutto” dal “rischio del pentitismo”: “L’affermazione criminale dei clan calabresi – si legge infatti nella relazione – è da ricondurre, in prima battuta, ai vincoli tradizionalistici e familiari, che la rendono ben salda già dalla base, ossia dai legami di sangue”. A questo si aggiunge la crisi economica che offre un grande aiuto agli affari dei clan. La Dia parla, a riguardo, di una vera e propria “leva” favorevole: “La congiuntura economica negativa favorisce il circolo vizioso: le consorterie criminali che ne costituiscono una delle cause (naturalmente in condivisione con altre), la utilizzano anche come una leva per l’accrescimento dei propri guadagni e del proprio potere”.

L’apprezzamento dei narcos sudamericani

È proprio questa capacità di limitare la nascita di pentiti l’aspetto principale che pone la ‘ndrangheta “quale interlocutore privilegiato per i più importanti gruppi criminali stranieri”, al punto da essere considerato un vero e proprio “partner affidabile” per qualsivoglia affare transnazionale. “I narcos sudamericani in particolare – spiega la Dia – paiono apprezzare ormai da diversi decenni l’impermeabilità delle consorterie calabresi a forme di collaborazione con le istituzioni, che potrebbero compromettere l’immissione nei mercati delle ingenti produzioni di droga”. Elementi che fanno ritenere la ‘ndrangheta “sicuramente l’organizzazione criminale più ‘referenziata’ sul piano internazionale” e, soprattutto, “in grado di instaurare interazioni e forme di collaborazione con interlocutori di qualsiasi tipo”.

Come la ‘ndrangheta agisce all’estero

Questo è avvenuto in quanto fuori dai confini italiani le consorterie ‘ndranghetiste si confermano, nella pratica, “straordinariamente capaci di adeguarsi ai diversi contesti territoriali ed ai conseguenti mutamenti sociali”: “Lontani dalle aree di origine adottano, tendenzialmente, una strategia silente, infiltrandosi nei territori e nelle economie ed evitando forme violente ed eclatanti di controllo ‘militare’ del territorio”. Azioni permesse dalle “maglie larghe” dei sistemi normativi esteri, soprattutto in quegli Stati dove risulta più agevole e sicuro riciclare capitali. Negli altri Stati la ‘ndrangheta non prende di mira specifici settori economici in base alle dimensioni commerciali e imprenditoriali, ma “prima di tutto” mira a costituire “insediamenti territoriali strutturati sul modello reggino, dal quale partire poi per il conseguimento dei profitti”. Funzionali a tale disegno sono sempre le pratiche di affiliazione, così come i vecchi riti, che non sono mai stati abbandonati: “Guai a pensare – sottolinea la Dia – che questi siano caduti in disuso in quanto mera espressione folkloristica”.

Giovani leve mandate nelle migliori università

L’indagine ha comunque mostrato che la ‘ndrangheta è un’organizzazione criminale molto attiva, “al contempo tradizionale e moderna”. Ha infatti dimostrato di essere “camaleontica nei processi di adeguamento ai contesti socio-economici nazionali ed internazionali” e “perfettamente inserita nei meccanismi di progresso e globalizzazione”. Sempre più di frequente, infatti, si assiste all’avvio “verso le migliori università italiane e straniere delle proprie giovani leve, che vengono mandate a formarsi per poi servire l’organizzazione criminale adattandosi alle esigenze dei tempi e delle economie moderne”.

I 43 locali al Nord e i politici che chiedono l’aiuto dei clan

Le molteplici operazioni citate nella relazione “restituiscono l’immagine di una ‘ndrangheta significativamente pervasiva anche fuori dai territori d’origine” e soprattutto in rapporti “sempre più stretti” con esponenti politici e imprenditori. Importanti inchieste degli ultimi anni, infatti, hanno fatto emergere “la tendenza di un’inversione delle modalità di avvicinamento” rilevando come, di frequente, alcuni esponenti dell’imprenditoria o del mondo delle istituzioni “abbiano ricercato e si siano rivolti a membri delle consorterie ‘ndranghetiste, per massimizzare i propri profitti o per i vantaggi nelle tornate elettorali”. Condotte che trovano una conferma anche nel numero di provvedimenti interdittivi antimafia adottati dalle Prefetture di tutta Italia nei confronti di ditte in odore di ‘ndrangheta, operanti in svariati settori commerciali, produttivi e di servizi: dalle costruzioni edili alla raccolta di materiali inerti, dal commercio di veicoli ed automezzi al settore nautico, dai servizi di ristorazione, bar e balneazione al trasporto di merci su strada. Un dato, quest’ultimo, che, riguarda l’intero territorio nazionale e restituisce l’immagine “di una ‘ndrangheta imprenditrice perfettamente radicata anche fuori dalla Calabria”: nel corso degli anni nel Nord Italia sono emersi 43 locali, di cui 25 in Lombardia, 14 in Piemonte, 3 in Liguria e 1 in Valle d’Aosta.

L’istruzione l’arma per combattere le cosche: basta negazionismo

Un quadro desolante a cui, però, la Dia offre una soluzione. “Per scongiurare questa insidiosa infiltrazione – scrive la Direzione investigativa antimafia di Catanzaro – occorre un forte impegno delle istituzioni, a partire dall’istruzione, che deve mirare a diffondere la consapevolezza della reale dimensione e pericolosità delle infiltrazioni delle cosche anche fuori dai territori di origine, relegando a mero opportunismo e sottovalutazione qualunque percezione positiva che di esse si possa avere”. È inoltre ormai forte l’esigenza di superare “ogni forma di negazionismo” quale primo passo nella lotta alla criminalità organizzata: “Ciò si percepisce all’esito di ogni operazione condotta fuori Regione, allorquando appare sempre più evidente come la presa di consapevolezza del radicamento delle mafie nella società e nei mercati sia arrivata, da più parti, troppo tardi”. “Pertanto non è più possibile – afferma la Dia – prescindere da una comune e ‘decisa’ presa di posizione contro il fenomeno delle mafie, soprattutto perché da diverso tempo si continua ad assistere ad una maggiore arroganza e sfrontatezza”.