Cronaca

Il boss-imprenditore Anello e i racconti dei pentiti: dalla linea “bastarda” alla pax con i Mancuso

Il profilo di uno dei capi più influenti della 'ndrangheta vibonese, l'alleanza con i Bonavota, i summit con gli intermediari di Luigi Mancuso e i rapporti con le altre cosche

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Un boss-imprenditore. E’ la figura di Rocco Anello, il “capo-bastone” del Locale di Filadelfia così come definito da Andrea Mantella ma anche uno dei capi più influenti della ‘ndrangheta vibonese secondo le parole dell’altro pentito Bartolomeo Arena. L’Angitola è il suo regno i cui tentacoli si estendono fino ai confini con la provincia di Catanzaro lungo la strada statale 18 e il litorale napitino. Da Filadelfia fino ad Acconia di Curinga senza trascurare i paesini limitrofi che si arrampicano sulla collina vibonese: Polia, Monterosso, Capistrano, San Nicola da Crissa. Tutto ciò emerge dalla maxi inchiesta “Imponimento” che all’alba di ieri, 21 luglio 20120, ha portato al fermo di 74 persone. Tra questi spiccano nomi “eccellenti” dell’imprenditoria vibonese che da vittime del “sistema” che sarebbe stato messo in piedi da Rocco Anello si sono trasformati in complici di una strategia pianificata negli anni attraverso solide alleanze con altre cosche e stabili rapporti di collusione con i “colletti bianchi”.

La linea “bastarda”. Quella degli Anello è ritenuta una delle consorterie criminali più potenti e pericolose, in passato persino antagonista a quella dei Mancuso, la cosca egemone per eccellenza nella provincia di Vibo. Uno dei primi pentiti della storia della ‘ndrangheta vibonese, Michele Iannello ne ha ripercorso la storia affermando che la ‘ndrina capeggiata da Rocco Anello era andata in conflitto con i Mancuso di Limbadi staccandosi dalla cosca regina e sposando la linea garantita da un altro boss di primo piano, Damiano Vallelunga che – a sua volta – faceva capo direttamente a Umberto Bellocco di Rosarno. “Questa ‘ndrina – racconta Iannello in un verbale del 2018 – era riconosciuta direttamente da Umberto Bellocco e non dai Mancuso. Nel periodo a cui io faccio riferimento (anni dal 1986 al 1995) ero al corrente che sia Rocco Anello che Damiano Vallelunga erano molto in contrasto con i Mancuso di Limbadi tanto da rispondere a livello di ‘ndrangheta direttamente ad Umberto Bellocco di Rosarno, seguendo una linea alternativa (“bastarda”) rispetto al resto del vibonese. Tensioni acuite nel corso degli anni (confermate da altri collaboratori di giustizia) che hanno contribuito ad avvicinare gli Anello ai Bonavota di Sant’Onofrio nell’ottica di una strategia scissionistica tesa a spartirsi il territorio a nord della provincia di Vibo. Testimone diretto di questi contrasti lo stesso Andrea Mantella che nel novembre del 2017 dichiara: “All’incirca nel 2003 ho partecipato ad una riunione, nelle campagne di Filadelfia, nell’ambito della quale Domenico Bonavota veniva insignito della Santa e Francesco Fortuna del grado di Camorrista. Io ero citato nella copiata di Bonavota unitamente a Rocco Anello e a Carmine Arena. Era presente anche un certo Palamara ed una persona di Africo della quale non ricordo il nome. Questa cerimonia sanciva l’alleanza stretta fra gli Anello e i Bonavota. I Bonavota estendevano la propria influenza nella città di Pizzo fino all’Angitola. Gli Anello avevano il controllo dell’Angitolano, di Polia, di Filadelfia fino alla Nuova Sir, ove iniziava il controllo ndranghetistico degli Iannazzo”.

La riappacificazione. A rimettere le cose a posto sarebbe il capo dei capi Luigi Mancuso nell’ambito di quella strategia di pacificazione tra le ‘ndrine vibonesi inaugurata subito dopo la sua scarcerazione. A confermare il riavvicinamento sono due dei collaboratori di giustizia più recenti: Emanuele Mancuso e Bartolomeo Arena che presentano una quadro mutato rispetto al passato e in continua evoluzione. Un programma di “restaurazione” degli equilibri e degli assetti ‘ndranghetistici nella provincia di Vibo Valentia, scompaginati durante la gestione di Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni” e la detenzione di Luigi Mancuso. Un programma definito e perseguito proprio da quest’ultimo, uscito dal carcere, e portato avanti con successo in forza della sua indiscutibile autorevolezza mafiosa e delle sue abilità “diplomatiche”. “Luigi Mancuso – affermava Arena in alcuni verbali finiti già agli atti di “Rinascita Scott” – adesso sta cercando di formare una Provincia a Vibo Valentia, un Crimine vibonese, con il consenso della ‘ndrangheta di Polsi e quindi di tutta la Calabria, in modo da sistemare queste situazioni e riconoscere numerose consorterie dell’area, così che poi i sodalizi vibonesi dovrebbero rispondere tutti a lui”. Gli inquirenti annotano contatti tra i “fedelissimi” dei due boss tesi e lo stesso Anello. Nel gennaio del 2017, ad esempio, si attiva per recuperare un escavatore che sarebbe stato rubato dai Pesce ai Chiefari di Torre Ruggero: “Chi aveva subito il furto – captano gli investigatori – era un amico di Luigi”. Ovvero Luigi Mancuso.

I “padroni” di Pizzo. Rocco Anello aveva nei Bonavota di Sant’Onofrio i suoi storici alleati e con loro avrebbe messo le mani su Pizzo spartendosi il territorio, estorsioni comprese come gli inquirenti documentano nelle vicende legate alla realizzazione del supermercato “Eurospin” e al “Resort Galia”. Pizzo è un crocevia di interessi dove con il benestare degli Anello e dei Bonavota a garantire il buon ordine sarebbe stato Salvatore Francesco Mazzotta che i collaboratori di giustizia danno vicino ai “Piscopisani” ma anche Domenico Pardea, dell’omonima famiglia di Vibo, trapiantato a Pizzo e in ottimi rapporti – secondo Arena – con gli Anello. Il boss di Filadelfia gestiva quasi in regime di monopolio tutta l’area della Marinella e intavolava affari con le ‘ndrine che operavano sui territori limitrofi: i Giampà e i Iannazzo di Lamezia Terme (l’area ex Sir dove – ironia della sorte – si celebrerà il maxi processo “Rinascita Scott” contro la ‘ndrangheta vibonese ricade in questo territorio) ma anche i Tripodi di Porto Salvo e gli Accorinti di Zungri.

Boss e mediatore. Poco incline alla violenza, Anello viene dipinto come un abile mediatore con il fiuto per gli affari e lo spirito imprenditoriale. I suoi tentacoli si estendono fino al Catanzarese come dimostrano le numerose inchieste che hanno coinvolto il boss-imprendito di Filadelfia. Rapporti storici con cosche storiche come i Gallace di Guardavalle, gli Iozzo-Chiefari di Chiaravalle e, sconfinando nel Crotonese, i Trapasso di San Leonardo di Cutro e nel Reggino i Pesce di Rosarno e gli Alvaro di Sinopoli.

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