Estorsione a imprenditore di Nicotera, in dieci a processo. C’è anche il boss Antonio Mancuso

Il gup distrettuale di Catanzaro ha accolto quasi in toto la richiesta di rinvio a giudizio della Dda. Ecco chi va all'abbreviato e chi va all'ordinario

Vibo-Carmine-Zappia

Tre all’ordinario, sette all’abbreviato e una posizione stralciata. E’ in estrema sintesi quanto deciso dal gup distrettuale antimafia di Catanzaro Paola Ciriaco nell’ambito del processo scaturito dall’operazione “Maqlub” che ha fatto luce su un presunto giro di estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti a Nicotera, in provincia di Vibo Valentia. Accolta quasi in toto la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Antonio De Bernardo che, con la supervisione del procuratore capo Nicola Gratteri, ha coordinato un’indagine lampo durata poche settimane e condotta dai carabinieri della Compagnia di Tropea.

Rito ordinario. Sarà processato dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo con l’ordinario il principale degli imputati, il boss Antonio Mancuso, 82 anni di Nicotera. Hanno scelto lo stesso rito anche Andrea Campisi, 38 anni di Nicotera, e Francesco D’Ambrosio, 40 anni di Nicotera. Prima udienza fissata per il prossimo 5 ottobre.

All’abbreviato. Hanno chiesto e ottenuto il rito alternativo gli altri sette imputati che il 19 ottobre compariranno invece dinnanzi al gup distrettuale di Catanzaro. Si tratta di Alfonso Cicerone, 46 anni di Nicotera; Salvatore Comerci, 35 anni di Nicotera; Francesco D’Aloi, 20 anni di Preitoni di Nicotera; Rocco D’Amico, 39 anni di Preitoni di Nicotera; Salvatore Gurzì, 35 anni di Nicotera; Gabriele Gallone, 19 anni di Nicotera Marina; Giovanni Iermito, 23 anni di Comerconi di Nicotera. E’ stata invece stralciata in attesa di essere sottoposto a perizia per accertare la capacità di partecipare scientamente al processo la posizione dell’89enne Giuseppe Cicerone, anche lui di Nicotera.

Parti civili. Nel corso dell’udienza preliminare si sono costituiti parte civile l’imprenditore Carmine Zappia che con la sua denuncia ha permesso ai carabinieri di chiudere il cerchio delle indagini, la Regione Calabria e lo stesso Comune di Nicotera.

Il collegio difensivo. Gli imputati sono difesi dai seguenti legali: Giuseppe Di Renzo, Francesco Capria, Antonio Barilari, Francesco Sabatino, Salvatore Campisi, Annamaria Modugno, Antonio Cosentino, Paride Scinica, Giuseppe Grande, Giuseppe Spinelli.

La denuncia.
Nel maggio dello scorso anno, l’imprenditore nicoterese Carmine Zappia vessato dalle pesanti richieste estorsive, ha deciso di raccontare tutto agli inquirenti. Da qui è partita un’indagine lampo fatta di pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali portata avanti dai Carabinieri della Compagnia di Tropea con l’ausilio dei militari della Stazione di Nicotera. In poche settimane gli investigatori hanno riscontato quanto sostenuto dalla vittima. La sua odissea era iniziata otto anni prima, esattamente nel maggio del 2011, con l’acquisto di un immobile composto da due piani fuori terra a Nicotera. Valore dell’investimento: 400 mila euro. Metà dell’importo veniva immediatamente consegnato mentre per la quota restante si stabilivano dazioni periodiche senza termini temporali. I problemi per l’imprenditore iniziavano subito dopo il perfezionamento della compravendita e il pagamento della prima parte dell’importo. I venditori iniziavano ad avanzare in maniera in maniera sempre più minatoria le richieste della consegna del denaro. Davanti alle risposte evasive del loro debitore si sarebbero quindi rivolti ad esponenti vicino ad Antonio Mancuso per avere quanto pattuito e recuperare il credito.

Le intercettazioni.
Un incubo destinato ad aggravarsi con l’entrata in scena dell’anziano boss, temuto e rispettato. Quel credito veniva rilevato proprio da lui e all’imprenditore veniva comunicato che le erogazioni di denaro sarebbero dovute finire nelle mani dello “Zio Antonio”, al secolo Antonio Mancuso. A farsi da intermediario delle minacce sarebbe stato proprio Alfonso Cicerone, il nipote del boss. La situazione precipitava nel momento in cui la vittima pattuiva la cifra di cinquemila euro ogni trimestre senza riuscire però a corrispondere il denaro. Così le minacce si facevano sempre più esplicite e con esse arrivava anche l’ordine di chiusura dell’attività commerciale: “Non aprire la serranda che mi incazzo” urlava con toni minacciosi Cicerone, il quale consigliava la vittima di chiedere un prestito usuraio al Mancuso per ripianare i debiti. Un inferno per l’imprenditore per una vicenda senza soluzioni. Le “pressioni” diventavano insostenibili e le minacce sempre più costanti: “Hai preso per il culo mio zio Antonio! Entro domenica mi devi dare i soldi e martedì se non mi vuoi dare i soldi devi stare chiuso!” intimava con tono minaccioso Alfonso Cicerone, determinato secondo l’accusa a passare alle vie di fatto e a “pestare” la vittima. Antonio Mancuso avrebbe poi preteso i cinquemila euro periodici quale affitto del locale (in realtà di proprietà della vittima dell’estorsione) ma anche tassi di interesse del 10% mensile sull’insoluto. Un incubo terminato con la denuncia ai Carabinieri che hanno registrato tutto e “liberato” il coraggioso imprenditore dalle perverse logiche della ‘ndrangheta.

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