‘Ndrangheta, Di Bella: “Se ne deve parlare a scuola, sin dalle elementari”

Il magistrato autore del progetto "Liberi di scegliere": "Bisogna spiegare cosa significa criminalità organizzata e quali effetti provoca sulla vita degli altri"

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“Purtroppo la scuola sta faticando nel suo compito educativo, ossia quello di preparare il fanciullo a diventare un membro utile della società. Bisogna ampliare l’offerta formativa e pensarla in base alle specifiche caratteristiche del territorio. In ogni scuola si deve parlare di ‘ndrangheta con progetti mirati e spiegare sin dalle scuole elementari cosa significa criminalità organizzata e quali effetti provoca sulla vita degli altri, effetti sociologici, piscologici ed economici”. Ad affermarlo è il presidente del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria Roberto Di Bella, che dopo 25 anni si appresta a lasciare Reggio per un altro incarico, intervenendo al live meeting “Liberi di scegliere – Fuori dalle mafie un’altra vita è possibile”, promosso dalla rete Alleanze Educative.

Stimolare la politica. “Bisogna raccontare le storie delle vittime di mafia” spiega Di Bella, che aggiunge: “Ecco perché ho scritto il libro ‘Liberi di scegliere’. Inoltre, va migliorata la rete sociale e mappare il territorio, particolarmente in alcune zone che sono povere di organizzazioni educative. Occorre stimolare la politica per creare ammortizzatori sociali”.

Dare continuità al progetto “Liberi di scegliere”. All’appuntamento hanno partecipato dirigenti scolastici, studenti, associazioni e volontari. A spiegare l’obiettivo del meeting è stato il moderatore Domenico Nasone, dell’associazione Libera, che ha dichiarato: “È l’occasione per riflettere su come dare continuità al lavoro svolto dal presidente Di Bella e per ringraziarlo del lavoro fatto sul territorio impegnandosi ad offrire ai minori un’alternativa ad un destino di mafia”. Don Ennio Stamile invece, del coordinamento regionale Libera, si è soffermato sul progetto “Liberi di scegliere”, di fondamentale importanza “per ricostruirsi la propria identità”. “Ha determinato il coraggio anche di tante donne. Per migliorare – ha aggiunto don Ennio – occorre che a questo progetto aderisca tutta la magistratura calabrese per approfondire e ascoltare le storie di ognuno”.

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