‘Ndrangheta, boss in contatto tra loro anche se al 41bis: la denuncia di un avvocato

Le lettere, al vaglio del gup di Reggio Calabria, sono state portate alla luce da Fabio Repici: "Sono la prova che il 41 bis è l'esatto contrario di ciò per cui era stato concepito"

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I boss della mafia, almeno fino al 2008, hanno comunicato via lettera nonostante fossero sottoposti al carcere duro. E non soltanto con i propri familiari ma anche con altri capimafia detenuti anche loro al 41bis. A scoprirlo e denunciarlo intervenendo a un video dibattito sui 28 anni dalla strage di Capaci, è stato l’avvocato Fabio Repici che ha divulgato l’esistenza di questi scambi epistolari, attualmente al vaglio del gup di Reggio Calabria nel procedimento che chiama in causa l’ex pm di Barcellona Pozzo di Gotto Olindo Canali, accusato di corruzione in atti giudiziari per favorire Cosa nostra.

Il carcere duro non funziona. “Queste missive sono la prova che il 41 bis è l’esatto contrario di ciò per cui era stato concepito”, afferma all’agenzia di stampa AGI Repici, che nel processo Canali è parte civile per conto di Sonia Alfano, figlia del giornalista siciliano ucciso da Cosa nostra nel 1993. “Queste lettere – sottolinea il penalista – ci fanno capire che siamo alla frutta, e che sarebbe il caso che la Dna e il Dap indagassero davvero a fondo per capire se quanto accaduto nel 2008 si è ripetuto negli anni successivi”.

I boss coinvolti. Sono cinque i documenti portati alla luce da Repici e riguardano le comunicazioni all’epoca tra Giuseppe Gullotti, il capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto (detenuto a Cuneo), Giuseppe Graviano, capomafia di Brancaccio (detenuto a Milano Opera), i boss di ‘ndrangheta Francesco Sergi e Domenico Paviglianiti (rinchiusi ad Ascoli Piceno), tutti al 41 bis, e il capomafia di Buccinasco Domenico Papalia (detenuto a Carinola).

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