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Il Coronavirus e quel “buco nero” della sanità lombarda al confine tra pubblico e privato

Il dibattito è aperto, ma i dati dicono che la sanità privata, ma anche quella pubblica, è stata sostenuta anche attraverso un sistema clientelare

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Come ha retto e sta reggendo il sistema sanitario italiano alla prova dell’emergenza Coronavirus? Il dibattito è aperto e la riproposizione di dati, studi ed analisi ha comprovato come la sanità, peraltro divisa come competenza a livello regionale dopo la sgangherata riforma costituzionale del Titolo V del 2001, abbia subito dei tagli imponenti nel corso degli ultimi anni. Il sistema politico italiano ha depauperato risorse, ha speso e programmato male, seppur con lodevoli eccezioni, e le risorse ai sistemi sanitari regionali sono sempre via via diminuiti. E che dire delle Regioni, soprattutto alcune, arrivate sull’orlo del collasso con accumulo di debiti esosi e sistemi sanitari da ritenere non da paese civile?

La commistione tra pubblico e privato. La Lombardia, per numero di contagi, ricoveri ospedalieri, ricoveri in terapia intensiva, decessi, ha subito un vero e proprio tsunami, come affermato dallo stesso assessore al Welfare lombardo, Giulio Gallera. Un paragone impossibile con le altre regioni italiane, anche con quelle che stanno subendo molto in termine di compressione negli ospedali come Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. Ma la Regione locomotiva d’Italia è lo specchio di un sistema politico che negli ultimi decenni ha decisamente privilegiato il canale della sanità privata. Un settore in cui a macchia d’olio, non solo in Lombardia, si è sviluppato un meccanismo parallelo di “incoraggiamento finanziario e clientelare” a favore di strutture private che poi hanno risposto puntualmente in termini di consenso nelle varie competizioni elettorali susseguitesi nel tempo.

I numeri della spesa sanitaria ridotta. Del sistema sanitario italiano fanno parte erogatori sia pubblici sia privati. In secondo luogo, il privato si biforca in due ambiti: un sistema accreditato con il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e uno non accreditato. Il primo è un perno importante rispetto all’offerta sanitaria e l’obiettivo del legislatore è stato quello di conglobare l’offerta del servizio sanitario pubblico assumendo un sistema di concertazione istituzionale. Come dimostra un approfondimento de “La Voce. Info”, “negli ultimi anni le prestazioni sanitarie offerte dal privato accreditato hanno assunto una rilevanza maggiore. Il contenimento della crescita della spesa del Ssn è un presupposto ormai condiviso: tra il 2012 e il 2018, l’aumento è stato del 4 per cento in termini nominali, annullato quindi dalla pur bassa inflazione. Il risultato è un’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil del 6,5 per cento in Italia, mentre in Regno Unito e Francia è tra il 7,5 e l’8 per cento”.

Sia gli ospedali pubblici, sia quelli privati accreditati, sono stati interessati da stringenti misure di austerity e vi è stato un calo di circa 41 mila unità di personale (-6%). Tagli mitigati dalla capacità del personale delle strutture pubbliche di far fronte alle misure restrittive e dal rafforzamento del settore privato.

La sanità ed il futuro. Quando l’emergenza sanitaria sarà cessata verrà il tempo dei bilanci ma, a prescindere dall’onda d’urto alla quale l’Italia è stata chiamata a rispondere in questo periodo, la politica italiana dovrà interessarsi seriamente sulla questione e su come efficentare un sistema sanitario troppo diversificato e frastagliato, messo a tappeto spesso, anche qui, da una burocrazia inefficiente ed ottusa. Ed infine, riprendere il ruolo che le spetta e mettere fine, ad esempio, al commissariamento in Calabria. Una Regione, fortunatamente per ora, solamente sfiorata dallo “tsunami” Coronavirus.