Cronaca

Minacciò l’investigatore dei carabinieri di Vibo, boss sotto inchiesta

Avviso di garanzia vergato dalla Dda di Catanzaro nei confronti di Leone Soriano, capo dell'omonimo clan di Filandari

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Intimidazioni per aver osato destabilizzare il clan Soriano di Filindari, offese basate sull’aver condotto indagini, false, pilotate. Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci, sotto il coordinamento del procuratore capo Nicola Gratteri ha vergato un avviso di conclusione indagini con contestuale informazione di garanzia nei confronti di Leone Soriano, 54 anni, di Vibo Valentia, boss dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta, attualmente detenuto nel carcere di “Lorusso Cotugno” di Torino. Per il 54enne, la Direzione distrettuale antimafia ipotizza i reati di minaccia e calunnia aggravate dalle modalità mafiose contro il maggiore del comando provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia Valerio Palmieri, reati compiuti più volte  nel periodo intercorrente tra il 30 luglio e il 17 agosto 2019.

Le minacce. L’uomo avrebbe inviato una cartolina all’ufficiale di pg utilizzando espressioni minatorie del tipo: “per falsità e tutte le porcate che avete fatto, siete peggio dei vostri colleghi che hanno ucciso Stefano Cucchi.  Volete impartire la legalità, ma vergognatevi”. Una missiva recapitata il 17 agosto 2019, proprio mentre si stava celebrando il processo Nemea contro il clan di Filandari, in cui uno dei testi era Palmieri citato per relazionare sulle indagini svolte, “nonchè persona offesa in seguito ad una minaccia aggravata posta in essere dallo stesso Soriano tra il 6 e il 18 marzo 2018”. Una minaccia, secondo la Dda, aggravata dall’aver commesso il fatto per agevolare l’attività della cosca Soriano, operante nel Comune di Filandari, “adottando un comportamento idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica”. In quella stessa lettera il magistrato, riscontra il reato di calunnia ai danni del maggiore dei carabinieri nel momento in cui il boss gli scrive “di aver attestato delle falsità e di aver commesso delle porcate” incolpandolo di aver compiuto degli illeciti pur sapendolo innocente. Fin qui le ipotesi di accusa di fronte alle quali l’indagato avrà 20 giorni di tempo per chiedere di essere sentito, di depositare memorie e compiere ogni atto utile per l’esercizio del diritto di difesa prima che il magistrato titolare del fascicolo proceda oltre, con una richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione.

Le minacce contro il comandante. Il blitz, nome in codice “Nemea” aveva portato l’8 marzo 2018 i carabinieri del comando provinciale di Vibo all’esecuzione di sette provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Catanzaro, con le accuse di estorsione aggravata nei confronti di imprenditori, danneggiamenti, detenzione di arma, reati aggravati dalle modalità mafiose. Fermi che si erano resi necessari per porre un freno ad una serie di intimidazioni anche contro le Forze dell’ordine. In particolare nel mirino di Leone Soriano era finito il maresciallo maggiore Salvatore Todaro, comandante della Stazione di Filandari. A lui, il boss aveva recapitato una cartolina dal carcere di Secondigliano dove era detenuto “rivolgendo frasi allusive e minacce”. Nel provvedimento di fermo era emersa la pianificazione di un attentato alla caserma dei carabinieri di Filandari, che sarebbe dovuta saltare in aria con una bomba o essere presa di mira con una serie di colpi di arma da fuoco. I Soriano avrebbero persino effettuato dei sopralluoghi intorno alla caserma, focalizzando l’attenzione sull’alloggio di servizio del comandante dei carabinieri con l’obiettivo di compiere l’agguato, procurandosi un’auto rubata per entrare in azione.