Coronavirus, niente telelavoro: call center verso lo stato di agitazione

Noi crediamo che i servizi essenziali – scrive il sindacato Cobas che denuncia il problema – siano ben altri"

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“Se questo studio ha qualche attendibilità, e pare che la abbia, prevedendo che entro il 22 aprile si arriverà a toccare circa 200 casi, e che la curva dei contagi dovrebbe scendere per far sì che si possa uscire dall’emergenza fra due mesi (fine aprile), vuol dire che la settimana che si è appena aperta sarà ed è già cruciale per limitare il contagio e fare sì che l’uscita dall’emergenza sanitaria sia più rapida possibile”.

Il sindacato Cobas telecomunicazioni Cosenza in una nota spiega come “a questo proposito, è dalla settimana scorsa, con il comunicato del 8/3/2020, che sosteniamo che le attività dei call center dell’area urbana di Cosenza e dell’intera Calabria vadano sospese: per il rischio di contagio e di propagazione dovuti alle caratteristiche di mobilità della forza lavoro, proveniamo da ogni comune e quartiere, e per gli ambienti di lavoro, comunque sale chiuse con decine e decine, se non centinaia di operatori e operatrici. Il nostro appello e la nostra preoccupazione, condivisi dalla stragrande maggioranza della cittadinanza e dei lavoratori, pur rimanendo isolati dal punto di vista sindacale hanno avuto comunque eco tant’è che il sindaco di Rende ha emanato venerdì 13/3 un’ordinanza in cui si disponeva la chiusura immediata di tutti i call center che non erogassero servizi essenziali. Qualcosa di simile hanno fatto i sindaci di Montalto Uffugo e Lamezia Terme disponendo la temporanea chiusura della Abramo Customer Care per inadempienze nell’attuazione dei protocolli di sicurezza”.

C’è chi lavora a regime. “Anche se, a seguito dell’ordinanza, una buona parte delle aziende di call center presenti sul territorio ha sospeso le attività organizzandosi per lavorare in smart working o usufruire di coperture pubbliche per i periodi di sospensione, un’altra buona parte di call center ha già riaperto i battenti, e seppur con numeri minori, i lavoratori e le lavoratrici usciranno di casa (e ci torneranno) per continuare a fornire servizi alle grandi multinazionali e agli enti statali a capo della filiera”.

La longa manus di Confindustria. “Noi crediamo che i servizi essenziali – scrive il sindacato – siano ben altri e che dietro questa interpretazione governativa molto larga di ciò che è essenziale ci sia la longa manus della Confindustria che, terrorizzata dall’idea di vedere crollare i fatturati e sfumare le occasioni di profitto create da tutti questi “italiani a casa”, ha preferito imporre al governo la sostanziale continuità di tantissime attività che in realtà sono essenziali solo al fatturato delle grandi aziende e non alla tutela dei diritti del cittadino e della persona. Ci siamo svegliati un giorno e abbiamo scoperto di essere servizio essenziale, il vero motore della nazione! Assieme a noi inoltre si sono accorti di essere essenziali anche le cassiere e gli addetti dei supermercati, gli operai della logistica e dell’industria, gli operai delle imprese di pulizia e tante altre categorie quotidianamente umiliate da condizioni di lavoro e salari a dir poco vergognose. Per non parlare di medici, infermieri e personale sanitario che, nonostante siano chiaramente un servizio essenziale, già da prima della pandemia si trovavano a lavorare in condizioni pietose e che ora stanno dando l’impossibile, pagando in termini di grandissimi sacrifici e perdita di vite umane. A queste donne e a questi uomini va tutta la nostra solidarietà e rispetto”.

Telelavoro. “Dopo verrà il momento delle rivendicazioni, per adesso crediamo, anche in base all’ultimo protocollo siglato tra sindacati confederali, Confindustria e governo, che tutti i front-end telefonici delle varie filiere (internet e telefonia, energia, previdenza, credito, assicurazioni, soccorso stradale, intrattenimento, etc) debbano essere erogati in regime di telelavoro. In alternativa saremo a richiedere di nuovo la temporanea sospensione delle attività non essenziali attingendo alle risorse messe in campo dal governo. A tutti i lavoratori e le lavoratrici che si trovano costretti a continuare a lavorare diciamo che, per quanto inadeguate, le disposizioni di sicurezza devono essere tassativamente rispettate”.

A tal fine richiediamo:

– Massima disponibilità ed elasticità nel concedere la fruizione di congedi, permessi e ferie, turnistica agevolata;
riduzione drastica dei flussi di lavoro per consentire un minimo afflusso di personale;
– sospensione di tutte le attività chiaramente non essenziali (informazioni commerciali, proposte di vendita, indagini di mercato, recupero crediti, etc) e copertura piena dei salari attraverso strumenti messi a disposizione dal governo;
– disposizione delle postazioni a scacchiera con almeno un metro di distanza fra un operatore e un altro;
– sanificazione e disinfezione delle postazioni e degli strumenti di lavoro prima di ogni turno, oltre che disinfezione periodica dell’intero ambiente di lavoro (la certificazione deve essere visibile agli RSU/RLS o apposta in bacheca);
– contingentamento della forza lavoro, divisione in sottogruppi con accessi e uscite diverse e chiusura o limitazione dell’accesso alle zone comuni;
– le aziende devono mettere a disposizione dei dipendenti disinfettanti per le mani;
– mettere a disposizione mascherine e guanti anche se non previsti espressamente nel caso dei call center.

Dichiariamo aperto lo stato di agitazione per le aziende di call center presenti nei comuni dell’area urbana di Cosenza al fine:
– di garantire il rispetto delle misure di prevenzione del contagio da Covid19 in ogni call center che non sospenderà le attività;
– di fare pressione per l’adozione dello smart working per tutti i contact center delle varie filiere e limitare così in maniera seria e radicale il possibile emergere di focolai di infezione nel nostro e in altri territori.

Siamo pronti a dichiarare sciopero in qualsiasi azienda qualora le misure di prevenzione non dovessero essere rispettate e qualora si continuasse oltre ogni ragionevole tempistica a procrastinare l’adozione dello smart working, unico strumento in grado di garantire continuità lavorativa e reale protezione dal contagio.