Cronaca

‘Ndrangheta e nuove leve a Lamezia, nove condanne in Appello

Cinque le condanne confermate, 4 quelle rideterminate e 3 le assoluzioni sentenziate dai giudici della Corte di appello di Catanzaro

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Dal racket delle estorsioni tentate e consumate ai danni di esercizi commerciali e di imprenditori operanti nella città di Lamezia Terme, agli atti intimidatori compiuti con bottiglie incendiarie nei pressi di attività commerciali, ai danneggiamenti con ordigni esplosivi. Usando il nome dei Giampà per incutere terrore. La Corte di appello di Catanzaro, presidente Loredana De Franco, a latere Ippolita Luzzo  e Giovanna Gioia,  ha sentenziato 9 condanne, di cui 4 rideterminate e tre assoluzioni per i dodici imputati coinvolti nell’ambito dell’operazione Antimafia “Nuove Leve”, messa a segno all’alba del 24 febbraio 2017, quando la Squadra mobile di Catanzaro in esecuzione di un’ordinanza cautelare vergata dal gip Assunta Maiore, ha notificato 12 misure cautelari di cui dieci in carcere e due ai domiciliari.

Pene rideterminate.  In particolare la Corte ha rideterminato la pena per  Michele Muraca a 2 anni e 8 mesi di reclusione (il pg aveva chiesto la conferma a 6 anni e sei mila euro di multa); Marco Francesco De Vito, difeso dall’avvocato Wanda Bitonte e Antonio Larussa, 5 anni, 4 mesi e 4mila euro di multa, (il pg aveva chiesto la conferma di primo grado a 9 anni e 4 mesi di reclusione). Per lui è caduta l’accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso.Andrea Mancuso, 3 anni di reclusione (il pg aveva chiesto la conferma della condanna di primo grado a 4 anni, 3 mesi e 4mila euro di multa) e Vincenzo Vigliaturo 3 anni di reclusione ( il pg ha chiesto la conferma della condanna a 4 anni, 3 mesi e 4 mila euro di multa).

Condanne confermate. I giudici di secondo grado hanno lasciato inalterata la sentenza di primo grado, confermando, come richiesto dal pg, la pena a 5 anni, 4 mesi e 4mila euro di multa per Vincenzo Giampà detto “Il Camacio”; Roberto Castaldo, 10 anni; Giuseppe Paone, 8 anni; Francesca Allegro, 8 anni e Maria Muraca, 7 anni e 4 mesi.

Le assoluzioni.  Sono stati assolti Eugenio Giampà, (il pg aveva invocato la conferma della sentenza di primo grado a 8 anni), codifeso dai legali Francesco Iacopino e Antonio Larussa;  Gregorio Scalise, ( il pg aveva chiesto la conferma della condanna di primo grado a 8 anni), codifeso dai legali Pasquale Naccarato e Antonio Lomonaco;  Danilo Cappello detto “Kirbi”, (il pg aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado a 8 anni), difeso dall’avvocato Salvatore Cerra. Nel collegio difensivo compaiono anche i nomi di Lucio Canzoniere, Giuseppe Spinelli, Ramona Gualtieri, Rita Cellini e Antonio Perri.  Secondo le ipotesi di accusa gli indagati avevano costituito nuove leve per rinsaldare le fila della cosca Giampà con lo scopo di continuare le attività estorsive per conto dei capi cosca sottoposti a regime detentivo in seguito alle diverse operazioni di Polizia condotte negli ultimi anni.

Il ruolo dei collaboratori di giustizia. Un blitz che ha svelato ulteriori dettagli nei rapporti  tra i Giampà e le altre cosche di ‘ndrangheta calabresi, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno consentito ad inquirenti ed investigatori di fare quadrato sulle nuove leve assunte al servizio della cosca Giampà e di comprendere meglio quali fossero i legami con altre famiglie di ‘ndrangheta presenti nel territorio calabrese, come quelli con  il clan Piromalli, rapporti già comunque delineati in maniera capillare nel blitz “Andromeda”.

Le nuove leve e le cosche amiche. Il pentito Umberto Egidio Muraca diventato collaboratore di giustizia  il 23 ottobre 2012, dopo il suo arresto nell’ambito della prima tranche dell’operazione Andromeda ha spiegato, tra le altre cose, la sua appartenenza ad un clan di ‘ndrangheta diverso da quello dei Giampà. Nel corso di un interrogatorio da lui stesso richiesto ha dichiarato: “Non sono affiliato a nessuna cosca, anche perché provengo da una famiglia di ‘ndrangheta per conto di mio nonno e di mio padre; mio nonno è stato ucciso in un agguato di mafia, insieme a mia nonna, perché non voleva che a Nicastro fosse inserita l’eroina a livello di spaccio. Mio nonno aveva la dote di “Padrino” ed era soprannominato “U Materazzaru”, aveva un gruppo di ‘ndrangheta, aveva collegamenti con i Piromalli. Ha battezzato Raffaele Cutolo presso un’abitazione del quartiere Trempa, ha fondato la Sacra corona unita con Umberto Bellocco e qualche altro che ancora non ricordo, aveva collegamenti con u zu Antonio Macrì di Reggio Calabria e con gli Arcieri coi i quali aveva un ottimo rapporto”. Il collaboratore di giustizia Domenico Giampà ha riferito parlando di Francesca Allegro, moglie di Domenico Chirico, detto “ U Battero”, di aver appreso proprio da quest’ultimo come lei fosse portavoce del marito in varie estorsioni che venivano gestite da “U Battero”, anche tramite un suo parente soprannominato “Ranise” coinvolto nell’operazione che ha riguardato, un altro pregiudicato Vibonese, Mantella nel 2012. In particolare si faceva riferimento ad una grossa catena di casalinghi, estesa in tutta la Calabria. Allegro si sarebbe occupata, su indicazione del marito della raccolta dei proventi estorsivi necessari per sostenere i detenuti della cosca.

Le estorsioni ai “giostrai”. Diversi gli episodi estorsioni messi a segno: quello alle bancarelle della fiera di S. Antonio a Lamezia Terme, ai danni dell’imprenditore “Scalise Saverio” titolare della rivendita di autoricambi denominata “Centro ricambi di Saverio Scalise & C. snc”, della titolare dello studio di Fisioterapia “Fisioplanet, del gestore della macelleria “Mery e Antony”, della titolare dello studio di Fisioterapia “Fisioplanet” e ai danni di giostrai. In questo ultimo caso, Pasquale Catroppa ha dichiarato così come Giuseppe Giampà, che Marco De Vito per conto della cosca Giampà, si è recato con Vincenzo Bonaddio dai giostrai per riscuotere i proventi dell’estorsione che era stata “chiusa” dallo stesso Pasquale Catroppa e da Alessandro Torcasio, il “Cavallo”. Avevano imposto il pagamento di 50 euro al metro quadro per l’istallazione delle giostre, nonché biglietti gratis per gli appartenenti alla cosca. A ritirare i soldi, secondo le ipotesi di accusa, anche Marco De Vito, fratello di Antonio, soprannominato “il principino”, imprenditore amico di Pasquale Giampà detto “millelire”.