Cronaca

Le confessioni di Petrini e quell’assegno per “aggiustare” un processo di ‘ndrangheta

Centomila euro trovati dalla finanza a casa di Emilio Santoro. Li custodiva per conto del giudice a garanzia di un'assoluzione

assegno santoro

Fiumi di denaro per aggiustare i processi in Corte d’Appello. Il giudice Marco Petrini parla per oltre sei ore davanti ai pm della Procura di Salerno e ammette di essersi fatto corrompere dal “faccendiere” Emilio “Mario” Santoro. E’ il 31 gennaio del 2020. Da quindici giorni il giudice si trova recluso nel carcere di Salerno ed è da qui che viene interrogato dai suoi colleghi. “Tutte le somme che ho ricevuto a titolo corruttivo di cui ho parlato e di cui riferirò le ho utilizzate – dichiara il magistrato nell’interrogatorio – per far fronte all’indebitamento che avevo accumulato a seguito della separazione della mia prima moglie e per il mantenimento dei miei figli ed in parte per condurre una vita piacevole. A queste spese vanno aggiunte quelle, non indifferenti, che ho sostenuto per le cure di cui necessita il secondo figlio di mia moglie”.

L’assegno. Il verbale redatto è di appena 19 pagine e quasi sei sono coperte da omissis. In allegato compare la fotocopia di un assegno da 100mila euro datato 20 maggio 2019 e trovato dai militari della Guardia di finanza a casa di Santoro nella perquisizione domiciliare effettuata durante il blitz. Petrini lo riconosce e ne fa riferimento parlando di un episodio specifico che riguarda il processo a carico di Antonio Saraco. Ai pm salernitani racconta di aver ricevuto nel sua casa di Lamezia Terme Emilio Santoro: “Mi ha esibito un assegno bancario interamente compilato emesso a mio nome Marco Petrini come beneficiario dell’importo di centomila euro che mi disse essergli stato consegnato dall’avvocato Francesco Saraco, figlio di Saraco Antonio”. Sarebbe stata la garanzia per un suo intervento nel processo di secondo grado allo scopo di arrivare all’assoluzione dell’imputato. Promessa accettata da Petrini con una richiesta: “Dissi al Santoro Mario di trattenere e custodire l’assegno in garanzia anche perché ritenevo molto pericoloso per me custodire questo documento decisamente compromettente”. Sull’assegno c’è infatti la firma e il numero conto corrente di Francesco Saraco.
Il 17 luglio del 2019 però la Corte d’Appello presieduta dal giudice De Franco (a latere Bianchi e Luzzo) confermarono le pene erogate in primo grado. Niente assoluzione, quindi. Petrini avrebbe incontrato qualche giorno dopo Santoro che chiedeva chiarimenti sulla vicenda. “Io dissi – ricorda – che la sentenza sarebbe stata annullata (dalla Cassazione ndr) e che pertanto il collegio da me presieduto avrebbe assunto la titolarità del giudizio di rinvio come da tabella vigente”. Petrini precisa nel verbale di conoscere i tre magistrati della Corte di Cassazione che prima prestavano le loro funzioni nella Corte d’Appello di Catanzaro ma di non aver mai parlato con nessuno di loro del processo a carico di Antonio Saraco.

Le promesse di Santoro. Soldi tanti ma anche diverse utilità: la promessa di un appartamento di 200 metri quadri nell’hinterland milanese, un braccialetto di brillanti e anche un’auto, una Smart. Promesse ricevute da Mario Santoro sempre per favorire l’assoluzione di Antonio Saraco. “Queste tre utilità di beni – precisa il giudice Petrini – furono da me accettate ma non face seguito la dazione di beni (…). Furono a me promessi da Santoro Mario e da me accettati nella piena consapevolezza che detti beni erano stati promessi in dazione e sarebbero stati pagati dal Saraco Francesco figlio dell’imputato Saraco Antonio”. Tra gli allegati al verbale di interrogatorio compare l’ordinanza pronunciata dalla sezione feriale della Corte d’Appello di Catanzaro (presidente ed estensore Marco Petrini) l’uno agosto del 2018 a carico di Antonio Saraco con la quale, a parziale accoglimento della richiesta presentata dalla difesa, il giudice disponeva la revoca del sequestro dei beni disposto in primo grado. E’ la sentenza di dissequestro con la quale venivano restituiti i beni alla famiglia Saraco. “Qualche tempo prima dell’udienza camerale del 1 agosto 2018 – racconta Petrini – mi sono incontrato (omissis) e Santoro Emilio detto Mario a Lamezia Terme nell’androne del palazzo della mia abitazione. Nella circostanza (omissis) come promessomi in precedenza mi ha consegnato alla presenza ed insieme a Mario Santoro una busta contenente la somma di 10mila euro quale corrispettivo della decisione favorevole alla restituzione dei beni alla famiglia Saraco che avrei adottato l’1 agosto 2018”. C’è da sottolineare un passaggio non secondario. Petrini scagiona i consiglieri a latere precisando: “Non erano in alcun modo partecipi, né consapevoli dell’accordo corruttivo”.

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