‘Ndrangheta, il pentito Bartolomeo Arena pronto a deporre contro il clan Soriano

Il nuovo collaboratore di giustizia debutterà nell'aula bunker del Tribunale di Vibo il prossimo 19 febbraio nell'ambito del processo "Nemea"

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Dopo aver riempito pagine e pagine di verbali sottoponendosi ad interrogatori fiume davanti ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, per Bartolomeo Arena è arrivato il momento delle prime deposizioni. Debutterà – collegato in videoconferenza da una località segreta con l’aula bunker del Tribunale di Vibo – nel processo “Nemea” contro il clan dei Soriano di Filandari il prossimo 19 febbraio. A citarlo è stato nell’ultima udienza il sostituto procuratore Annamaria Frustaci che, insieme ai colleghi De Bernardo e Mancuso, si occupa delle inchieste e dei processi istruiti dalla Dda di Catanzaro contro la ‘ndrangheta vibonese.

Il verbale del 24 ottobre. Bartolomeo Arena ha iniziato a collaborare con la giustizia ad ottobre scorso. In uno dei primi verbali, datato 24 ottobre 2019, parla di Filandari e dei Soriano citando a capo del clan Leone Soriano ma con una precisazione: “Il vero capo di tale gruppo – riferisce – era il fratello Roberto Soriano, il quale era stato battezzato come “Capo Società” da Vincenzo Barba su volere di Giuseppe Mancuso, che lo presentò in tutta la Calabria perché era un suo pupillo. Ciò l’ho saputo nel corso di una serata in una discoteca riconducibile ai Soriano, risalente a quando avevo diciassette/diciotto anni”. Arena inserisce nel gruppo dei Soriano, il figlio di Roberto, ovvero Giuseppe, uno degli imputati del processo “Nemea”: “E’ stato battezzato – dichiara – da Francesco Antonio Pardea, il quale lo portò fino alla dote dello Sgarro e porta in copiata Luigi Mancuso”. Con riferimento alle intercettazioni pubblicate nell’ambito dell’operazione “Nemea” e al presunto appoggio del gruppo dei “Pardea-Ranisi” (quello composto da Mommo Macrì, Salvatore Morelli e Bartolomeo Arena) con i Soriano per l’omicidio di Giuseppe Accorinti, il collaboratore di giustizia spiega: “Posso riferire che prima che Leone Soriano venisse arrestato Domenico Macrì aveva riferito ad Antonio Pardea che il Soriano aveva proposto di fornirci appoggio nell’uccidere Rosario Pugliese, noi in cambio avremmo dovuto uccidere Peppe Accorinti. Successivamente venne a trovarci Giuseppe Soriano, il quale chiese una bomba ad Antonio Pardea, pertanto si misero a discutere del prezzo. Questo è l’ordigno di cui si parlava nelle predette intercettazioni ed è la medesima che era stata nascosta presso l’abitazione di Filippo Di Miceli a Piscopio”. Secondo la Dda le dichiarazioni di Arena offrono un’ulteriore conferma in relazione al momento di crisi registrato tra le cosche e, in particolare, alla volontà di uccidere Giuseppe Accorinti. “Oltre all’astio sorto a seguito dell’omicidio di Roberto Soriano, le ragioni del descritto proposito omicidiario – scrivono gli inquirenti tra le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare della maxi-inchiesta ‘Rinascita-Scott’ – sono anche da ricercarsi in questioni di controllo criminale del territorio da parte dei Soriano, evidentemente mirate dalla presenza costante dell’Accorinti in Filandari, soprattutto a seguito della sua unione con Filippina Cara, appartenente ad una famiglia di ‘ndrangheta di Filandari”. Il presunto boss di Zungri, dopo essere stato scarcerato agli inizi di ottobre del 2017, aveva infatti scelto di eleggere il proprio domicilio presso l’abitazione dei suoceri sita a Filandari, nel regno dei Soriano.

La deposizione nel processo Gotha. Quello di Vibo non sarà comunque un esordio assoluto per Bartolomeo Arena che quasi un mese fa aveva rilasciato le prime dichiarazioni audio-video nel maxiprocesso “Gotha” avanti al Tribunale di Reggio Calabria sempre in collegamento da un sito riservato. In quell’occasione riferì ai giudici sui rapporti tra i clan nei vari territori ribadendo i motivi che lo avevano spinto a saltare il fosso e a collaborare con la giustizia: “Stava per scoppiare una guerra di ‘ndrangheta e io non volevo parteciparvi perché ho un figlio piccolo”. Arena ha quindi ripercorso la propria carriera criminale iniziata da ragazzino, ancor prima dell’affiliazione alla ‘ndrangheta: “Ero troppo scalmanato, quindi i mio ingresso formale fu rimandato”. Rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo si è soffermato anche sulla figura di Luigi Mancuso “che tra il 2013 e il 2014 stava facendo la stessa cosa dei Grande Aracri a Cutro”. Arena ha parla quindi del tentativo di formare un nuovo locale a Vibo Valentia tra il 2012 e il 2013, dato che, fino a quel momento, le famiglie del capoluogo – tra queste i Barba e i Lo Bianco – erano appiattite sulle posizioni dei Mancuso di Limbadi: “Andrea Mantella – ha ribadito il giovane pentito – voleva creare un gruppo autonomo, per far comandare a Vibo i vibonesi e non gente che vive a 30 chilometri di distanza: i Lo Bianco e i Barba erano dei servi dei Mancuso”.

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