Manca il lavoro, schiere di giovani lasciano la Calabria

E mentre nei salotti della politica e durante gli aperitivi   si continua a parlare di grande attenzione verso il Sud il divario tra le due aree del paese continua a crescere a dismisura

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Via da Catanzaro. Via da Vibo Valentia. Via da Nicotera. Via da Mileto. Via da Longobucco. Via da Zungri. Via da Acquaro. Via da Rosarno. Via a  Cirò Marina.  Giovani, meno giovani   e intere famiglie con la valigia in mano: amareggiati, delusi, ingannati e  presi costantemente  in giro. Li incontri sempre più numerosi e con il troller  bene in vista   negli aeroporti, presso le stazioni delle Ferrovie dello Stato, alle fermate degli autobus di lunga percorrenza  e nelle aree di servizio dell’autostrada.  Destinazione: le aree del Nord con Milano e Bologna in testa. La storia infinita della Calabria,  merce prelibata per le analisi sociologiche,  dove la diaspora non   è solo memoria antica ma stretta attualità.   Una scelta non voluta ma obbligata dalle circostanze   con in primis l’assenza di lavoro e di prospettive serie, concrete e durature e con la complicità assordante della “ndrangheta, quella dei colletti bianchi compresi, che nonostante i colpi inferti dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. continua  ad ostacolare ogni forma di sviluppo.

I dati sono impietosi. Negli ultimi quindici anni hanno lasciato la Calabria  del sole e del mare  oltre due milioni di persone. Più del 60% sono giovani, un terzo dei quali laureati. Inoltre,   anno dopo anno stanno chiudendo ovunque gli ultimi presidi presenti sui territori: uffici, scuole, ordini religiosi e agenzie bancarie.  La smania del risparmio, delle chiusure, degli accorpamenti, del personale che va ridotto all’essenziale e quindi all’osso, è diventata ormai una moda irrefrenabile che sta impoverendo e distruggendo l’intera regione.  Risultato:   I piccoli paesi, quelli dell’interno in particolare, sono diventati luoghi assolati, dove resistono   solo  in pochi: gli ultimi speranzosi irriducibili sognatori.   I più hanno dovuto giocoforza abbandonare il campo dell’attesa infinita simile a quella del Godot di Samuel  Becket  dove l’autunno, l’inverno e la primavera trascorrono immutabili senza che nulla di nuovo accada.

E mentre nei salotti della politica e durante gli aperitivi quasi serali –  importati dal Nord –  si continua a parlare di grande attenzione verso il Sud il divario tra le due aree del paese continua a crescere a dismisura. Basta dire che nel 2018 – secondo un   rapporto di qualche tempo fa  dello Svimez –  sono stati investiti in opere pubbliche 102 euro pro capite nel meridione, mentre nel Centro Nord si arriva a 278 euro. A parlare sono le cifre e i numeri. Ma al di là di questi  basta dare uno sguardo per capire che la Calabria continua ad essere per quanto concerne le opere pubbliche la coda d’Italia. Basta dare uno sguardo nell’ora di punta al centro pulsante dei nostri paesi – al di là dei dati sulle continue   partenze – per renderci conto che qui siamo rimasti davvero in pochi. Una desolazione. Un dolore profondo che ti fa quasi annebbiare la vista.

. Le colpe di questo scenario? Di tutti. Nessuno escluso, savi compresi.  Quando i messi di una città in rivolta dopo averlo raggiunto   dissero a Carlo d’Angiò che l’insurrezione era opera dei pazzi, il re giustamente chiese: “Ma i savi che facevano?”