Cronaca

Il procuratore di Vibo Falvo racconta “Rinascita”: “Il vero pericolo è la massomafia”

La figura di capo del capi Luigi Mancuso, la riverenza dei "colletti bianchi", i legami con le Istituzioni e la massoneria deviata. "Necessario combattere la zona grigia"

pittelli mancuso

Ci sono le firme di quattro sostituti procuratori sulla monumentale inchiesta “Rinascita-Scott” che ha raso al suolo la ‘ndrangheta vibonese. Nicola Gratteri ci ha messo la faccia e ha coordinato tutta l’indagine, ma dietro le quinte hanno lavorato, notte e giorno, per diversi anni, quattro magistrati. Oltre ad Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso, nella richiesta di misura cautelare di oltre 13mila pagine spicca la firma di Camillo Falvo che, ironia della sorte, si è insediato nel suo nuovo ruolo di procuratore di Vibo proprio un giorno prima del maxi-blitz. E’ stato lui ad avviare l’inchiesta nelle vesti di sostituto procuratore della Dda applicato proprio al distretto vibonese. All’epoca Gratteri era ancora procuratore aggiunto a Reggio Calabria e a coordinare l’area tirrenica per conto della Dda di Catanzaro c’era Giovanni Bombardieri.

Alle origini di “Rinascita”. Era il 2014 e Luigi Mancuso, capo indiscusso dell’omonima famiglia di Limbadi, era tornato libero dopo 19 anni di detenzione. Dopo la scarcerazione, si era reso irreperibile. Secondo gli inquirenti avrebbe sfruttato lo status di “latitante volontario” per riacquisire progressivamente non solo il comando della propria cosca ma anche un ruolo verticistico e di riferimento dell’intero ambito provinciale. “Luigi Mancuso – racconta Camillo Falvo in un reportage sull’inchiesta “Rinascita” andato in onda su Rainews – era il perno centrale dell’indagine che nasce quando viene scarcerato. Il nome ‘Rinascita’ è quindi inteso come rinascita della famiglia Mancuso dopo un periodo in cui c’erano state delle lotte intestine documentate tra l’altro da alcuni procedimenti giudiziari”. Il primo dato investigativo acquisito fu il ruolo di vertice ricoperto dal boss definito il “Supremo” o, più semplicemente, lo “zio Luigi”. Un punto di riferimento per le ‘ndrine e i locali del territorio vibonese ma anche per professionisti ed imprenditori “insospettabili” che a lui si sarebbero rivolti per ricevere direttive, consigli, autorizzazioni. “La cosa che mi ha colpito di più – osserva Falvo – quando ho trattato il procedimento era la riverenza che tutti facevano a Luigi Mancuso: dall’ultimo degli ‘ndranghetisti fino al personaggio delle Istituzioni. Chiunque parlava di Luigi Mancuso lo descriveva come una persona molto sottile, particolarmente intelligente. Era definito un predestinato, uno che già da piccolo aveva carisma e una certa caratura criminale”.

Luigi Mancuso e la “massomafia”. I tre filoni investigativi nati e sviluppati nel corso degli anni vengono quindi riuniti in un’unica inchiesta quando a Catanzaro arriva Nicola Gratteri. Le indagini del Ros e del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Vibo diventano quindi un tutt’uno è nasce “Rinascita-Scott”. L’informativa finale è del marzo 2018 e comprende le indagini svolte nei confronti dei Mancuso di Limbadi e delle cosche satelliti. Filo conduttore è proprio il capo dei capi, Luigi Mancuso, la cui figura si intreccia con la ‘ndrangheta ma anche la massoneria deviata. In una sola parola ecco la “massomafia”. La zona grigia formata da imprenditori e professionisti si metteva a disposizione della ‘ndrangheta vibonese fornendo contatti e appoggi per una serie di affari nei settori economici ma anche per acquisire informazioni riservate allo scopo di contrastare le attività investigative. I Carabinieri indagano, le cosche prendono le contromisure sfruttando le conoscenze dei “colletti bianchi”.E’ così che nel calderone dell’inchiesta finiscono personaggi “eccellenti”. Primo fra tutti, l’avvocato Giancarlo Pittelli, intercettato più volte con il boss Luigi Mancuso e i suoi sodali. “Quello che è stato registrato nel corso delle indagini era la possibilità che Luigi Mancuso – sostiene il procuratore di Vibo – attraverso alcuni personaggi potesse arrivare ad ottenere ciò che voleva: dalle cose più banali come il favoritismo nei confronti della figlia all’Università a Messina fino alle cose più importanti, ovvero l’accesso ad informazioni che altrimenti non avrebbe potuto mai avere a disposizione. Sono quindi venuti fuori i legami con persone in seno alle Istituzioni e ai servizi segreti. Questo ovviamente era sconcertante”.

La “zona grigia”. Indagando e scavando nei meandri della società vibonese si è fatta luce sulla la permeabilità dello Stato a Vibo e dintorni tra “talpe” negli uffici giudiziari, “infedeli” nelle forze dell’ordine, “insospettabili” al servizio dei clan. Gli inquirenti hanno quindi visto operare praticamente in diretta la cosiddetta “zona grigia”: “Dal mio punto di vista – dichiara Falvo – quello che facilita questa relazione tra le cosche e gli apparati istituzionali è la zona grigia. E’ attraverso la massoneria deviata che diventa permeabile l’apparato statale. Dobbiamo evitare di fare di tutta l’erba un fascio però se non si combatte realmente la zona grigia, cioè i legami di tipo massonico, queste cose ce le ritroveremo sempre. Soprattutto in realtà come quella in cui lavoriamo noi”. L’inchiesta “Rinascita” ha quindi codificato la massomafia, l’avversario più insidioso per lo Stato. “La vera sfida – sottolinea il procuratore – è capire e comprendere che questo fenomeno è ancora più pericoloso. C’è una mafia che uccide e mette le bombe, poi ce n’è un’altra che condiziona l’attività economica, amministrativa e istituzionale del territorio ed è quella che dobbiamo capire e cercare di combattere”.

Nella foto in evidenza l’avvocato Giancarlo Pittelli (01) e il boss Luigi Mancuso (02) all’uscita di un ristorante romano intercettati dai Ros

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