‘Ndrangheta in Piemonte, il referente dei Bonavota e il “patto di scambio” politico mafioso

L'inchiesta della Dda di Torino che ha portato all'arresto di otto persone è lo sviluppo dell'operazione "Carminius" contro l'articolazione piemontese del potente clan di Sant'Onofrio

E’ lo sviluppo di “Carminius” l’inchiesta firmata dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino che all’alba di ieri ha portato all’esecuzione di otto misure cautelari in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso e reti fiscali per 16 milioni di euro. Filo conduttore tra l’operazione messa a segno nello scorso mese di marzo e il blitz di queste ore denominato in codice “Fenice” riguarda gli interessi della cosca dei Bonavota di Sant’Onofrio in Piemonte e, più precisamente, tra Moncalieri e Carmagnola. Oltre a Onofrio Garcea, nato a Pizzo ma residente a Genova e ritenuto il referente in Liguria e in Piemonte del clan, nell’elenco delle persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare figura anche il più giovane Raffaele Serratore, anche lui originario di Sant’Onofrio ma trasferitosi con la famiglia in Piemonte e ritenuto dagli inquirenti vicino ai Bonavota.

L’attività investigativa, condotta dal Nucleo Polizia Economico-Finanziaria di Torino – G.I.C.O. della Guardia di Finanza, ha fatto luce su ulteriori figure di spessore criminale, tra cui, Onofrio Garcea e Francesco Viterbo che secondo l’accusa avrebbero riorganizzato gli assetti del sodalizio tessendo rapporti con un noto imprenditore torinese, Mario Burlò, 46 anni di Moncalieri, rappresentante del consorzio di imprese OJ Solution di Torino, vicepresidente nazionale di Pmi, in passato presidente di Unione nazionale imprenditori. “Quest’ultimo, con il costante sostegno garantitogli dai membri della cosca – spiegano gli inquirenti – ha attuato uno strutturato sistema di evasione fiscale attraverso la creazione di più società, formalmente non riconducibili allo stesso, tramite cui compiere indebite compensazioni Iva ed ottenere in tal modo considerevoli profitti. Il “sistema” così elaborato ha permesso di accumulare indebite compensazioni per un valore superiore ai 16 milioni di euro”.

La consorteria ‘ndranghetistica con a capo Garcea e Viterbo avrebbe ingerito – secondo l’accusa – sulle elezioni politiche regionali in Piemonte del 26 maggio 2019 con quello che gli investigatori definiscono un “patto di scambio” con il candidato della lista “Fratelli d’Italia” Roberto Rosso. Per gli inquirenti sarebbe stata pagata la somma di 15mila euro in cambio della promessa di un “pacchetto” di voti. “Dalle indagini – sottolineano i finanzieri – è emersa la piena consapevolezza del politico e dei suoi intermediari circa la intraneità mafiosa dei loro interlocutori. Roberto Rosso, avvocato civilista sposato con una nota imprenditrice torinese, è poi diventato assessore regionale con le deleghe ai rapporti con il Consiglio regionale, Delegificazione e semplificazione dei percorsi amministrativi, Affari legali e Contenzioso, Emigrazione e Diritti civili. Attualmente è capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Torino e vice sindaco di Trino Vercellese, di cui è originario. L’inchiesta della Dda lo ha indotto alle dimissioni dal consiglio regionale e Fratelli d’Italia lo ha espulso.

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