Cronaca

Le rivelazioni del pentito Arena: “Temo che a Vibo scoppierà una guerra di ‘ndrangheta”

I primi verbali del nuovo collaboratore di giustizia che sarebbe a conoscenza di numerosi retroscena. Tremano i clan ma anche i "colletti bianchi"

Arena Bartolomeo

“Ho deciso di collaborare con la giustizia perché temo che a breve a Vibo Valentia scoppierà una guerra di ‘ndrangheta. Io voglio stare lontano da questa storia e pensare al bene di mio figlio”. Sono le parole pronunciate da Bartolomeo Arena nel primo verbale redatto lo scorso mese di ottobre con il quale ha deciso di saltare il fosso iniziando a collaborare con i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Tra le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip distrettuale nell’ambito dell’inchiesta che ha portato i carabinieri a chiudere il cerchio sulle indagini relative alla sparatoria di Piscopio ci sono anche le sue dichiarazioni. Parole che fanno tremare Vibo perché Arena sarebbe a conoscenza di numerosi retroscena e – a sentire chi lo conosce bene – dotato anche di una grande memoria in grado di mettere nei guai i “manovali” dei clan – vecchi e nuovi – ma anche imprenditori che con la ‘ndrangheta hanno fatto affari.

Il primo verbale. “La mia famiglia è la famiglia Arena Pugliese – spiega il 43enne neo-pentito di Vibo – i cui componenti fin dal 1800 sono uomini d’onore. Successivamente mio nonno ha preso il doppio cognome Carchedi dopo che suo padre è rientrato dall’America. I miei familiari sono stati da sempre ‘ndranghetisti, Io fin dall’età di 10-11 anni ho iniziato a comprendere che la mia famiglia fosse una famiglia di ‘ndrangheta”. Arena racconta quindi che doveva diventare un “picciotto” all’età di 22 anni perché a 16 anni “era troppo scalmanato”. “Quando è arrivato il momento della mia affiliazione siccome non condividevo il fatto che i Lo Bianco-Barba erano sotto i Mancuso non volli essere affiliato”. Il suo racconto procede tra un omissis e un altro. Poi aggiunge: “Io nel frattempo sono cresciuto con Mantella ed un pò con tutti quelli del mio attuale gruppo. Dopo i 16 anni ho frequentato molto il cugino di Mantella, Giuseppe Mantella, colui che è morto in un incidente di moto, poi mi sono legato ad Antonio Grillo”.

Il battesimo. Altro omissis prima di svelare il suo “battesimo” di ‘ndrangheta: “La cerimonia avvenne nel 2012 alla presenza… omissis… Venne battezzato il locale con la tipica formula e successivamente mi venne fornita la dote di picciotto ed anche quella della camorra… Fui il primo della famiglia ad essere battezzato e successivamente portai tutti gli altri giovanotti ad essere battezzati. Dopo lo sgarro ho avuto la Santa, concessami dopo la riunione del Locale con i Lo Bianco. Dopo il distacco dei Lo Bianco di cui ha parlato, mi fu dato il Vangelo. Per quanto concerne la dote del trequartino mi fu data con il benestare di … in quanto erano amici che rispondevano a Polsi…”.

L’omicidio Battaglia. Bartolomeo Arena parla quindi dell’omicidio di Salvatore Battaglia e fornisce agli inquirenti elementi preziosi spiegando che dopo la sparatoria Domenico Pardea, detto “Ranisi”, uno degli esponenti di spicco dell’omonima famiglia di Vibo, si sarebbe recato da Michele Battaglia, lo zio di Salvatore, dal quale avrebbe appreso che a sparare sarebbe stato Antonio Felice, il figlio di Nazzareno Felice, alias “Il Capo”. “La causa di questo delitto – sottolinea Arena – è da rinvenirsi in varie discussioni presso il circolo dei Felice tra quest’ultimo ed il gruppo di Salvatore Battaglia, costituito, tra gli altri, da Giovanni Zuliani e Michele Ripepi. A dire la verità vi erano ben più risalenti dissapori – aggiunge il nuovo pentito – tra i parenti dei suddetti soggetti e, in particolare, tra Nazzareno Felice (padre di Antonio) ed il gruppo di Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo in quanto questi ultimi ritenevano che il Felice avesse collaborato con i Patania nell’esecuzione dell’agguato dal quale Rosario Fiorillo era riuscito fortuitamente a sfuggire. Sospetti che erano stati avvalorati anche dal fatto che, la sera dell’attentato fallito, al Fiorillo, il circolo dei Felice aveva chiuso prima dell’orario consueto”. Da quel momento i rapporti tra i Felice e il gruppo Battaglia-Fiorillo sarebbero stati sempre tesi e Arena ricorda cosa gli avrebbe detto sul punto Francesco Antonio Pardea: “Battaglia Rosario gli aveva detto che, non appena fosse uscito dal carcere, il primo da uccidere sarebbe stato proprio Felice Nazzareno”.

La sparatoria. Arena raccontò cosa avvenne quella notte tra il 27 e il 28 settembre a Piscopio. “Dopo l’ennesima discussione la sera della festa di San Michele, la situazione degenerò drasticamente. Felice Antonio prese la pistola (se non erro una calibro 9) e fece fuoco verso la macchina all’interno della quale si trovavano Battaglia Salvatore, Ripepi Michele e Zuliani e non so dire se anche una quarta persona. A mio avviso, i bersagli reali del Felice erano Zuliani e Ripepi in quanto costoro sono i soggetti più ‘spinti’ di quel gruppo. Da allora i Felice si sono allontanati da Piscopio temendo possibili ritorsioni”. Arena racconta quindi delle parentele “importanti” dei Felice nella criminalità organizzata con esponenti di primo piano dei clan di San Gregorio che avrebbero cercato di trovare una mediazione. “Tuttavia – aggiunge Bartolomeo Arena – so anche che i Battaglia non sono disposti ad accettare altra soluzione che non sia quella che vede Felice Antonio costituirsi e, poi, impiccarsi in carcere”.

La cena al Mary Grace. Quanto al gruppo di Zuliani e Ripepi, Arena svela un altro retroscena: “Si tratta di soggetti che, ultimamente, stanno dando enorme fastidio in giro. Ad esempio in un’occasione dopo essere stati a cena presso il ristorante “Mary Grace” insieme ad un tale D’Angelo, si lamentavano del prezzo troppo alto del conto e si allontanavano. Sicché dopo essersi allontanati momentaneamente vi facevano ritorno con della pistola e minacciavano i proprietari del locale”. La vicenda è stata al centro di un’indagine della Polizia che ha identificato e denunciato i protagonisti di questa storia. Il collaboratore di giustizia aggiunge: “Queste iniziative del gruppo di Zuliani e Ripepi erano dovute al fatto che dopo l’operazione Rimpiazzo (e soprattutto dopo l’arresto di Michele Fiorillo, alias Zarrillo) a Piscopio vi è un vuoto di potere che tali soggetti avevano intenzione di riempire”.

LEGGI ANCHE | Altro squarcio nel velo di omertà della ‘ndrangheta vibonese: ecco un nuovo pentito

Più informazioni