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Il Comune va condannato al risarcimento dei danni subiti dal pedone per la buca non segnalata

E' quanto disposto da una sentenza della Cassazione: non conta che la vittima conosca lo stato dei luoghi. Per non pagare, l’ente deve dimostrare il caso fortuito

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Non passa giorno che non si legga un provvedimento della Cassazione che non attribuisca responsabilità agli enti custodi delle pubbliche vie. Ciò perché l’incuria sulle nostre strade vige sovrana e l’inerzia delle amministrazioni determina danni, anche letali, ad una miriade di vittime che le percorrono. Proprio per questo, lo “Sportello dei Diritti”, ormai da anni è impegnato in un’attività volta non solo a segnalare i potenziali pericoli sulle strade e le carenze delle pubbliche amministrazioni a sanarli, ma anche a tutelare i danneggiati dagli eventi lesivi conseguenti alla scarsa o inesistente manutenzione. E per tali ragioni, viene segnalata anche quest’ennesima ordinanza della Suprema Corte, la 31220/19, pubblicata il 29 novembre dalla sesta sezione civile, che ribadisce l’obbligo dei comuni di risarcire i pedoni caduti nelle buche non visibili e nella fattispecie coperte da fogliame, cartacce e soprattutto non segnalate, quando l’ente non riesce a dimostrare la sussistenza del caso fortuito per liberarsi dalla responsabilità da custodia. E ciò anche quando il percorso è noto alla vittima e la stessa è costretta ad usare la carreggiata perché il marciapiede è ingombro.

Nel caso in questione i giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso di un comune della provincia di Messina, e ha confermato la condanna a pagare ad una danneggiata un risarcimento pari a quasi 6.500 euro, più altri 170 a titolo di spese mediche. A nulla vale la circostanza che il Comune abbia rilevato che la donna al momento della caduta stesse camminando affiancata a un gruppo di pedoni e dunque violerebbe l’articolo 190 Cds. Né sottolineare che la donna conosca lo stato dei luoghi e che il sinistro avviene in pieno giorno. Per gli ermellini, nessun vizio logico può essere imputato all’accertamento compiuto dalla Corte d’appello di Messina: l’infortunata risulta costretta a camminare lungo la carreggiata perché il marciapiede, già di per sé angusto, risulta ingombro. E non viene dimostrato che la danneggiata sappia in che condizioni versa la sede stradale. Va dunque escluso che la condotta dell’infortunata interrompa il nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento pregiudizievole. E ciò anche se nel valutare la responsabilità di cui all’articolo 2051 Cc bisogna tenere conto del dovere di ragionevole cautela del pedone, riconducibile al principio di solidarietà stabilito articolo 2 della Costituzione.

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