Cronaca

‘Ndrangheta in Svizzera, arriva la sentenza della Cassazione: “Non è mafia”

Un’indagine condotta dalla Dda di Reggio che aveva permesso d’individuare le presunte articolazioni straniere del “locale” di Fabrizia

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La prima sezione della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato dagli avvocati Giovanni Vecchio e Bruno Vallelunga, difensori di Raffaele Albanese, e dall’avvocato Emanuele Genovese, difensore di Antonio Nesci, ha annullato senza rinvio perché il “fatto non sussiste” la sentenza con cui la Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva condannato gli imputati in quanto ritenuti partecipi, nella rispettiva posizione qualificata di “capo società” e “mastro disponente”, del “locale” di Frauenfeld in Svizzera. Viene così messa la parola fine a una vicenda processuale articolata che ha destato scalpore ben al di là dei confini nazionali e della cittadina vibonese di Fabrizia dalla quale i soggetti coinvolti erano originari.

Un’indagine condotta dalla Dda di Reggio Calabria nel 2014 con l’ausilio delle forze dell’ordine elvetiche che aveva permesso d’individuare e sradicare le articolazioni straniere (in Svizzera e in Germania) del “locale” di Fabrizia le quali erano direttamente collegate al “Crimine” della Provincia di Reggio Calabria. Suscitarono particolare interesse nei media nazionali elvetici, in particolare, le riunioni videoregistrate dei soggetti in cui venivano riprodotti, a migliaia di chilometri di distanza, i riti e le formule che sono propri della ‘ndrangheta reggina.
Sul piano giuridico, poi, si tratta di una questione che ha determinato un notevole interesse e che è stata molto dibattuta. Proprio in questo giudizio, infatti, vi erano state due distinte ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite (la prima nel 2015 e la seconda nello scorso mese di marzo 2019) tese alla soluzione di un contrasto interpretativo a proposito delle diramazioni estere della ‘ndrangheta; in particolare, si trattava di chiarire se fosse configurabile il reato di cui all’art. 416 bis con riguardo a una articolazione periferica (c.d. “locale”) di un sodalizio mafioso, radicata in un’area territoriale diversa da quella di operatività dell’organizzazione “madre”, anche in difetto della esteriorizzazione, nel differente territorio di insediamento, della forza intimidatrice e della relativa condizione di assoggettamento e di omertà, qualora emergesse la derivazione e il collegamento della nuova struttura territoriale con l’organizzazione e i rituali del sodalizio di riferimento.
In entrambi i casi, tuttavia, vi era stato un provvedimento di restituzione degli atti alla Sezione remittente da parte del Primo Presidente della Cassazione che aveva riscontrato, diversamente da quanto sostenuto nelle ordinanze di rimessione, un panorama giurisprudenziale consolidato nel richiedere, ai fini della configurabilità di un’associazione di tipo mafioso, la prova di un’effettiva capacità intimidatrice del sodalizio criminale da cui derivino le condizioni di assoggettamento ed omertà di quanti vengano con esso effettivamente in contatto e che pertanto, con riferimento all’articolazione territoriale del sodalizio mafioso costituita fuori dal territorio di origine, si richiedeva la  dimostrazione della concreta manifestazione del metodo mafioso nel territorio di riferimento.

Si arriva così all’udienza odierna in cui l’avvocato Vecchio, muovendo proprio dal provvedimento ricognitivo del vertice della Cassazione, ha articolato il suo intervento conclusivo stigmatizzando la peculiarità di un’organizzazione mafiosa che si caratterizzerebbe, nonostante un’operatività ultradecennale, per la mancanza di atti di violenza o minaccia o di reati fine, per l’inesistenza di attività economiche (lecite o illecite) riconducibili all’organizzazione, nonché per il totale disinteresse rispetto alle consultazioni elettorali. In definitiva, si è lamentata proprio l’assenza di quegli scopi normativamente previsti dal terzo comma dell’art. 416 bis
Una tesi condivisa dalla Corte di legittimità che, come si diceva, ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna disponendo l’immediata scarcerazione dei due imputati. La decisione della prima sezione della Cassazione va a scrivere la parola fine a una problematica giuridica di assoluto rilievo, che ha dato la stura a un articolato dibattito nella materia. Si registra il commento difensivo della difesa di Albanese affidato anche ai media svizzeri: “Oggi si è scritta una sentenza  storica perché si è certificato quanto sostenuto dalla difesa fin dalla fase delle indagini preliminari: l’organizzazione svizzera non è un’associazione mafiosa; non lo è perché non ricorre alcuno dei parametri normativi che sono richiesti dall’art. 416 bis c.p., non lo è perché, in ultima analisi, la società civile svizzera non ha mai percepito l’esistenza di una presenza mafiosa”.

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