Cronaca

‘Ndrangheta, Gratteri: “I calabresi non sono omertosi ma spesso non sanno con chi parlare”

Il procuratore di Catanzaro e magistrato simbolo della lotta alla mafia ospite di un meeting internazionale a Palermo

Nicola-Gratteri

“Per fare le cose bisogna metterci la faccia e sporcarsi le mani: ogni volta che vado a Roma, vado per la questua. Vado a chiedere uomini e risorse. Non bisogna vergognarsi di chiedere, l’importante è non chiedere mai per se stessi”. Va dritto al nocciolo, senza tanti giri di parole, Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro e magistrato simbolo della lotta alla mafia. Che per lui, da 30 anni, ha un nome inconfondibile: ’ndrangheta. Tra i protagonisti di un dibattito – promosso a Palermo, nell’ambito del meeting internazionale “Sud e futuri”, dalla Fondazione Magna Grecia, presieduta da Nino Foti, e moderato dalla giornalista Paola Bottero, che ha curato l’organizzazione dell’evento insieme ad Alessandro Russo – che non si è limitato ad un noioso scambio di dati e parole ad effetto, il magistrato calabrese che, quando non è in Procura, è nel suo orto in mezzo ai pomodori, ha scelto, ancora una volta, l’autostrada per raccontare come stanno le cose. Prende il microfono e tira dritto, veloce, Gratteri: “Quando sono arrivato a Catanzaro, c’era un encefalogramma piatto. Quindi ho dovuto riorganizzare tutto all’interno della Procura. Avevamo 15 anni di arretrati, in 3 anni siamo arrivati a 4 anni di arretrati: un risultato raggiunto con lo stesso numero di magistrati. Come ho fatto? Li ho fatti lavorare anche il sabato e la domenica”.

Lavoro, testa alta, rigore e una gran voglia di dire, in faccia a chiunque, la verità: Nicola Gratteri non fa sconti a nessuno e, se ti abbraccia quando ti incontra, vuol dire che sei un amico. Senza se e senza ma. Agli altri, i nemici, non si siede neppure accanto. Pazienza se le regole del bon ton lo richiederebbero. Lui, calabrese di Gerace (“scusate se non pronuncio bene la parola “fiction”, ma io parlo bene solo il calabrese, meno bene l’italiano, per niente l’inglese”), i suoi conterranei li spiega senza infingimenti: “Spesso dicono che i calabresi sono omertosi. Che non parlano. Non è vero: la verità è che i calabresi non parlano perché non sanno con chi parlare. Perché sono stati sempre usati ed è normale che siano diffidenti, a tratti persino paranoici. Sta a noi – incalza Gratteri – cambiare le cose, far vedere, specialmente alle nuove generazioni, che esiste ed è possibile un modo di vivere diverso. Per questo, il pomeriggio, vado nelle scuole e parlo ai ragazzi: è a loro che va spiegato come stanno davvero le cose”.

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