Cronaca

Da Filippo Ceravolo a Francesco Vangeli, i morti innocenti e i silenzi complici di “Vibo violenza”

La speranza è che il sacrifici di Filippo, Francesco, Matteo, Soumalia, Stefano e Maria riescano a smuovere le coscienze e a dare un futuro diverso a una terra bellissima quanto maledetta

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Il sole dell’estate da queste parti è forte, chiaro, insolente, altero e insinuante. Si ha quasi l’impressione che voglia parlarci, interrogarci o forse mostrare a noi poveri umani la sua ira celeste. Troppi i silenzi complici, i morti innocenti per mano assassina come Filippo Ceravolo, Francesco Prestia Lamberti, Matteo Vinci, Stefano Piperno e Soumalia Sacko e le scomparse per volontà di gente senza scrupoli di Maria Chindamo e Francesco Vangeli le cui famiglie a tutt’oggi non possono neppure avere il conforto di poter pregare sulle tombe dei loro cari. Ricordiamole uno per uno queste vittime stringendoli a noi in un abbraccio corale con la speranza che il loro sacrificio e nello stesso tempo la dignità, la forza e il coraggio che le loro famiglie hanno sempre dimostrato, riescano finalmente a smuovere le coscienze e a dare un futuro diverso a questa nostra terra.

Filippo Ceravolo, 19 anni di Soriano Calabro, aveva davanti una vita ricca di prospettive, che è stata stroncata per sbaglio per mano di un killer della criminalità organizzata che aveva come obiettivo un’altra persona. Il delitto avvenne la sera del 25 ottobre del 2012. Un delitto assurdo sul quale da anni il padre della giovane vittima continua a chiedere che venga fatta giustizia. Accanto alla famiglia del giovane ucciso figura sin dai primi momenti drammatici momenti il coordinamento provinciale di “Libera” che è sempre stata vicina alle battaglie senza risparmio condotte dalla famiglia Ceravolo.

Maria Chindamo, 44 anni di Laureana di Borrello, imprenditrice con grandi progetti da portare avanti, è stata aggredita e fatta sparire la mattina del sei maggio 2016 in contrada Montalto di Limbadi. Un scomparsa che ha gettato nel più cupo dolore i familiari di questa donna definita da tutti una madre amorevole. Mari Chindamo avrebbe pagato con la vita la sua voglia di ribellarsi e di non chiudersi in se stessa dopo la morte del marito assumendo la decisione di costruirsi un nuovo percorso di vita.

Francesco Prestia Lamberti, era un ragazzo alla soglia dei 16 anni che amava il calcio, gli amici. E’ stato ucciso a colpi di pistola la sera del 29 maggio 2017 e poi ritrovato con le mani in tasca, in località “Vindacitu” in mezzo agli uliveti delle campagne assolate di Calabrò, tra i comuni di Mileto e di Francica. Un delitto brutale e insensato con più di un cono d’ombra e tantissimi dubbi sia sul luogo che sullo scenario, nonché su eventuali complicità. Dell’omicidio, che ha profondamente turbato l’intero Vibonese, si è autoaccusato un altro quindicenne che la sera stessa ha indicato ai carabinieri il posto in cui, a suo dire, sarebbe stato consumato il crimine al culmine di una lite che sarebbe scaturita da questioni banali di natura sentimentale, ma senza però far rinvenire, particolare non di poco conto, l’arma utilizzata per compiere il delitto, una pistola calibro 6 e 35 che il reo confesso avrebbe sottratto ad un suo parente stretto. Dal giorno dell’omicidio la famiglia Prestia chiede che venga fuori tutta la verità. “Ad un anno esatto dalla morte di mio figlio – ha dichiarato nel giorno dell’anniversario della morte del figlio Marzia Luccisamo – non è stata ancora fatta luce su quanto è esattamente accaduto. Il responsabile dell’omicidio di mio figlio – ha affermato – continua, infatti, a non parlare ed inoltre quanti sono a conoscenza di particolari continuano a tacere”. Il sospetto della famiglia è che i protagonisti di quella tragica sera siano stati più di uno. Sull’omicidio vi è già comune una prima verità processuale. Il reo confesso è stato infatti condannato un anno fa con il rito abbreviato dal Tribunale dei minori di Catanzaro alla pena a 14 anni di reclusione.

Matteo Vinci, 42 anni, di Limbadi da tutti definito una brava persona – una laurea sudata e un futuro davanti con una ragazza argentina che presto avrebbe voluto portare all’altare – è morto il 9 aprile del 2018 a causa dell’esplosione di una bomba collocata nella sua auto che stava percorrendo come quasi ogni giorno una stradina della frazione San Nicola dopo una giornata di lavoro trascorsa in campagna. L’esplosione, udita a distanza, ha anche causato il ferimento del padre Francesco. Un fatto di cronaca terribile che ha avuto come bersaglio due persone normali dedite al lavoro e alla famiglia. Due cittadini onesti figli di una Calabria fatta di sudore e di amore per la propria terra decisi a difendere fino in fondo i propri diritti. Da quel giorno la madre della vittima Rosaria Scarpulla, con il suo sguardo dignitoso di donna del Sud, non riesce a darsi pace e a più riprese coraggiosamente – affiancata dall’avvocato De Pace che dal 2014 assiste lei e la sua famiglia in una controversia legale – non solo ha chiesto giustizia e verità ma ha anche fatto nomi e cognomi precisi. Con decisione e senza mai indietreggiare di un millimetro, così come ha fatto proprio qualche giorno fa quando ha occupato simbolicamente la caserma dei carabinieri di Limbadi per chiedere a gran voce che la giustizia vada avanti, in quanto il processo, secondo Rosaria Scarpulla, “già prima di cominciare è sabotato”.

Soumalia Sacko, 29 anni, migrante maliano, sindacalista – che sognava una vita diversa e soprattutto un futuro lontano dalla povertà cronica del suo paese d’origine – è stato ammazzato a colpi di fucile il 2 giugno del 2018 nell’area dell’ex fornace “La Tranquilla” di San Calogero, lungo la statale 18 che da Mileto porta a Rosarno, nei pressi del bivio per Calimera. Il giovane – che in quel momento si trovava insieme ad altri suoi connazionali rimasti feriti – è stato colpito dai colpi d’arma da fuoco mentre era alla ricerca di materiale in particolare lamiere da utilizzare nella tendopoli di San Ferdinando. Materiale di nessun valore che alla sua gente era utile per ripararsi dalle intemperie. Soumalia è morto, dunque, per nulla. Una vita spezzata nel giorno della Festa della Repubblica.

Francesco Vangeli, 27 anni, di Scaliti di Filandari, piccolo centro del Vibonese, è scomparso la sera del 9 ottobre 2018, vittima della “lupara bianca”. La sua auto è stata rinvenuta completamente carbonizzata due giorni dopo nei pressi dello svincolo autostradale di Mileto. Una scomparsa che ha gettato nel dolore un famiglia di onesti lavoratori, che fino al giorno prima della scomparsa era serena e felice e che mai e poi avrebbe immaginato di dover affrontare una tragedia così grande. Un caso sul quale le indagini vengo svolte dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Due fratelli sono indagati per omicidio ed occultamento di cadavere. Secondo le ipotesi investigative il giovane sarebbe stato assassinato per motivi passionali. La sua unica colpa sarebbe stata quella di essersi innamorato di una ragazza pretesta da un’altra persona. Su mio figlio – continua a ripetere ormai da mesi con grande dignità la mamma di Francesco, Elsa Tavella – voglio giustizia, voglio la verità, chi sa anche in forma anonima si faccia, pertanto, sentire”. Un appello accorato e composto quello della madre di Francesco Vangeli: “Noi non molliamo. Vogliamo sapere cosa è successo al mio Francesco”.

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