L’egemonia dei clan sui villaggi turistici e le paure dei boss verso pentiti e magistrati: “Gratteri come Falcone”

Emergono nuovi dettagli dall'inchiesta denominata "Malapianta" che ha portato al fermo di 35 persone. La 'ndrangheta teme le rivelazioni dei collaboratori di giustizia e l'azione della Dda

Influenzavano la gestione dei villaggi turistici nella zona ionica, costringevano i titolari a pagare il pizzo, ad assumere lavoratori vicini alle cosche e a rivolgersi a fornitori a loro graditi. Un dominio incontrastato esercitato su diverse attività economiche senza tralasciare il business della droga e ogni forma di assoggettamento del territorio come l'usura a diversi imprenditori. In pratica un “annientamento” del libero mercato e del concorrenza che garantiva guadagni enormi poi riciclati con investimenti nei settori della ristorazione, dell’edilizia e delle stazioni di rifornimento carburante. Emerge questo spaccato dall'inchiesta denominata "Malapianta" condotta dalla Finanza e coordinata dalla Dda di Catanzaroche ha portato al fermo di 35 persone, accusate di una sfilza di reati tutti aggravati dalle modalità mafiose. Altre 64 sono state denunciate a piede libero mentre nel corso del blitz sono stati sequestrati beni mobili e immobili per un valore di 30 milioni di euro.




I "grandi della 'ndrangheta". Le indagini si concentrano sulla scoperta dell’esistenza di una “locale di ‘ndrangheta” di San Leonardo di Cutro, nel Crotonese, che farebbe capo alle famiglie Mannolo, Trapasso e Zoffreo e vanterebbe ramificazioni in Calabria ma anche in Puglia, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, oltre che all’estero. La cosca avrebbe agito “in rapporti di dipendenza funzionale” con i Grande Aracri, egemone sulla provincia pitagorica. Altre indagini - condotte nel corso degli ultimi anni - avrebbero infatti portato a ritenere che vi sia stata una crescita di potere e di influenza delle famiglie di ‘ndrangheta sanleonardesi. Elementi che troverebbero una conferma nell’operazione di oggi. Gli investigatori spiegano che sarebbe stato proprio il boss Nicolino Grande Aracri, nel corso di una conversazione intercettata alcuni anni fa, a sancire l’autorità mafiosa di queste due famiglie sul territorio, oltre che a inserire i due presunti capi, Alfonso Mannolo e Giovanni Trapasso, fra i cosiddetti “grandi della ‘ndrangheta”.
La “locale sanleonardese”, insomma, sarebbe stata dunque e senza dubbio un’organizzazione ben identificata nei contesti criminali “crotonesi”. Un gruppo definito “estremamente coeso, strutturalmente complesso ed altamente organizzato” e capace di una grande forza di intimidazione e di assoggettamento, che contava anche sull’omertà. Dimostrazione - sempre secondo gli investigatori - ne sarebbero le vicende di diversi imprenditori, vittime delle cosche di San Leonardo, che “soffocavano” le imprese e, quindi, impedivano il conseguente sviluppo del territorio.
Quanto emerso dalle indagini della Dda confermerebbe poi una mole di dati ottenuti dai collaboratori di giustizia e consentirebbe di individuare l’esistenza della locale cutrese a partire almeno dagli anni ’70. Nei decenni avrebbe infatti diversificato la sua operatività passando dal contrabbando di sigarette al narcotraffico, all’usura e alle estorsioni. Inoltre, apparterrebbe al “Crimine” crotonese-catanzarese, e pertanto riconosciuta da parte del superiore “Crimine” di Polsi, in parole povere il vertice assoluto della ‘ndrangheta.

Gratteri come Falcone e la paura dei magistrati. Le indagini avrebbero fatto emergere come il presunto capocosca, Alfonso Mannolo, ma anche gli altri appartenenti avessero paura proprio delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (la cui scelta la giudicavano “vergognosa”), ma soprattutto dei magistrati catanzaresi, verso i quali non si sprecavano in ingiurie, in particolare contro il procuratore Nicola Gratteri, accostato nei loro commenti a Giovanni Falcone, il magistrato palermitano ammazzato nel ’92 nella tristemente nota strage di Capaci. La locale di San Leonardo, inoltre, avrebbe avuto una fortissima capacità di controllo e di monitoraggio del territorio per censire “presenze sospette” di veicoli o soggetti appartenenti alle forze dell’ordine. I componenti del clan, sarebbero stati inoltre capaci di ottenere informazioni sulle operazioni di polizia imminenti, attraverso una oscura rete di fonti e connivenze. Non a caso, si è scoperto, effettuassero regolarmente delle attività di anti bonifica per il rilevamento di eventuali microspie o per evitare le intercettazioni dei finanzieri. Un monitoraggio del territorio che gli inquirenti definiscono in forma “militare”, e che certificherebbe la capacità di ostacolare e sottrarsi a qualunque forma di investigazione.

Gli imprenditori "ribelli". Tornando all’asservimento dei villaggi turistici del litorale fra Crotone e Catanzaro, gli inquirenti sottolineano che questo rappresenti “la sintesi di un progetto delinquenziale condiviso” dalle consorterie attiva nella “circoscrizione” criminale di Cutro. Queste imprese, rappresentative di quello che senza dubbio è il settore economico di maggior importanza sulla zona, avrebbero soggiaciuto al controllo sia pagando milioni di euro in estorsioni, ma anche facendosi condizionare nella scelta della manodopera, delle forniture e delle manutenzioni. In pratica, le cosche nel tempo sarebbero riuscite a imporgli la loro assoluta egemonia si qualsiasi aspetto gestionale, ovviamente che assicurasse un profilo economico. Proprio le dichiarazioni di diversi imprenditori, se per un verso hanno integrato le indagini dei finanzieri, sono anche la dimostrazione che si sia arrivati a un tal punto di oppressione da scatenare un vero e proprio spirito di ribellione alla ‘ndrangheta. “Spirito – sottolineano i militari - che va sostenuto con ogni mezzo”.

I sequestri. Nell’ambito dell’operazione, i finanzieri di Crotone hanno individuato e sequestrato numerosi beni del valore di circa 30 milioni di euro. Si tratta in particolare di cinque società con sede a Botricello (nel Catanzarese) e altrettante a Cutro (nel Crotonese), attive in vari settori: dall’edilizia al commercio all’ingrosso e al dettaglio di bevande, materiali per agricoltura, edilizia e una che si occupa di posta privata. Fra le unità locali di alcune di queste aziende vi sono tre stazioni di rifornimento di carburante in provincia di Crotone e Catanzaro, tre bar e una pizzeria, due autoveicoli e quattro immobili.

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