STORIE | Tommaso Arabia, giurista e poeta vibonese: non profeta in patria

Nato nel 1831 a Monteleone Calabro, liberale e cavouriano, autore di tragedie e importanti saggi giuridici, fu tra i protagonisti della vita culturale e politica napoletana a cavallo dell'Unità Italiana, di cui fu un acceso sostenitore

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Tra i monteleonesi poco conosciuti nella sua terra, spicca anche il nome di Tommaso Arabia, avvocato, poeta, scrittore e, dopo l’Unità d’Italia, nominato dal governo Minghetti nel 1873, Prefetto di Sassari e trasferito dal Depretis, l’8 settembre 1876, a Pesaro e successivamente dal ministro Zanardelli a Brescia nel 1878. Ma soprattutto è un fervente liberale e sostenitore dell’unità italiana, aderente alle idee hegeliane degli Spaventa, cosa che gli costa la stretta sorveglianza della polizia borbonica.

Tommaso Arabia nasce a Monteleone Calabro (oggi Vibo Valentia), da Pasquale e da Maria Teresa Fonzi, originari del cosentino, nell’aprile 1831. Compiuti gli studi primari si trasferisce appena quindicenne (1846) a Napoli, ove lo aveva preceduto e dove lo introduce negli ambienti culturali il fratello maggiore Francesco Saverio, di dieci anni più grande, anche egli giurista, poeta e scrittore. Studia all’Università di Napoli e ben presto entra a far entra parte dei circoli studenteschi aperti alle idee liberali. Segue gli studi giuridici e quelli letterari, partecipando alle prime dispute fra classici e romantici. Arabia è da annoverarsi tra questi ultimi: difatti, contrariamente al fratello, sostenitore della perfezione formale dell’opera d’arte, Tommaso propende per il verso libero e sciolto, che ritiene vibrante di passione. Tra il 1853 e il 1857 si dedica anche al teatro nel dichiarato tentativo di risollevare la drammaturgia italiana, dedita in prevalenza a traduzioni da testi stranieri e a rimaneggiamenti di opere classiche. In questo periodo scrive le tragedie – Francesco Ferrucci; Piccarda Donati; Saffo; Anna Bolena. “Le opere dell’Arabia. rifuggivano, per lo più, dall’ossequio alle tre unità aristoteliche e, soprattutto nelle parti poetiche, erano vivificate piuttosto dall’autenticità dell’espressione, scaturita dalla passione viva, che dal gusto classicheggiante. I contemporanei non apprezzarono molto questo genere di comporre che, per giunta, inseriva nel testo motivi patriottici a spese della verità storica”, scrive Riccardo Capasso, nel Dizionario Biografico degli Italiani.

La critica in complesso gli è benevola, pur con qualche voce contraria. Lo stesso non può dirsi della censura che gli impedisce di rappresentare Francesco Ferrucci e Piccarda Donati della quale, però, fu permessa la stampa (1853). Unica opera ad andare in scena, siamo nel giugno del 1857, al teatro dei Fiorentini, è Saffo, che riscuote un enorme ed inatteso, anche per la corte di re Ferdinando, successo. Nella tragedia, Arabia presenta Saffo come incitatrice di virtù civili e patriottiche e forse questo è il segreto del consenso del pubblico. La censura, seppure in ritardo, interviene anche questa volta ed interrompe le rappresentazioni dopo la dodicesima serata. Il 19 gennaio 1859, al teatro del Fondo (oggi Marcadante), va in scena Anna Bolena, tragedia che l’Arabia scrive per per la famosa e brava attrice tragica Adelaide Ristori. Visto lo scarso successo di pubblico, la rappresentazione viene sospesa dopo la prima replica del giorno successivo.

Arabia non disdegna neanche l’impegno giornalistico e nel 1856, insieme col fratello, fonda lo Spettatore napoletano, ottenendo di poter dar vita a una cronaca politica seppure censurata. Nel 1859 fonda insieme a Vincenzo Cuciniello, l’Opinione Nazionale, periodico unitario, dichiaratamente pro Cavour e antimazziniano e lo dirige fino a tutto il 1860. L’anno successivo diviene vicedirettore della Gazzetta Ufficiale, passando così alla carriera prefettizia. Abbandonato il teatro, inizia a scrivere saggi giuridici. Nel 1865 dà alle stampe a Firenze, “La legge comunale e provinciale del Regno d’Italia”, tra i numerosi commentari delle leggi sulle autonomie locali prodotti nei primi anni dopo l’Unità, è quello che ha particolare importanza e fortuna. Altro saggio molto studiato è La Nuova Italia e la sua Costituzione (Napoli 1873), in cui nel raccontare la vicenda del Risorgimento dal 1848 alla soluzione della questione romana, con riferimento al diritto costituzionale, Arabia individua nella Costituzione Inglese il modello da seguire: “benché non abbia un principio generale che la informi e la domini, pure vive di consuetudini, è un sistema di diritti e di poteri in così grande equilibrio fra di loro, che sembra che fosse venuta su tutta in una volta”.
Analizzando la divisione dei partiti, l’Arabia già di quei tempi scrive quasi profeticamente: “La destra e la sinistra, quali oggi sono nel nostro Parlamento, che hanno in comune il programma e differiscono solo nei modi di attuarlo, dovrebbero avvicinarsi ancora, fondersi, lasciando in disparte i partigiani dell’estrema sinistra e dell’estrema destra; così uniti farebbero sentire l’azione attiva ed energica del governo, gli darebbero maggiore autorità”. Entrato a far parte del Consiglio di Stato, conclude la sua vita a Roma, dove muore il 25 marzo 1896.

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