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STORIE | Padre Dom Benedetto Tromby da Monteleone e la sua storia dell’Ordine Certosino

Tra il 1739 e il 1779 scrisse e diede alle stampe la sua monumentale opera composta da dieci voluminosi tomi, ancora oggi unica fonte attendibile della storia delle vicende e accadimenti di monaci e monasteri di San Bruno da Colonia

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“Padre Tommaso Presinaci già priore di Santo Stefano e mio maestro nel noviziato, sapendo del mio soggiorno a Napoli per studi sulla cose dell’Ordine Certosino e mediocremente addentrato nelle antiche carte e nella critica, mi chiese di difendere le ragioni della Certosa di Santo Stefano in due denunzie presso la Regia Camera. Il Regio Fisco era stato spinto a instaurare da malevoli dei giudizi con la falsa ed insolente asserzione, conferita con empia bocca, che il nostro beato Lanuino il Normanno, che fu compagno strettissimo e successore del nostro santo padre Bruno nel magistero di questo eremo in Calabria, nel secolo undecimo avesse falsificato i diplomi con cui Ruggero il Normanno concedeva al nostro santo fondatore terre et altri privilegi di natura baronale. Nulla di più falso! Questo, e l’idea che nostro Signore infuse nei miei pensieri, mi spinse con maggior vigore ad intraprendere la gravosa opera, per un eremita ancor più dura: scrivere la grande storia della Certosa e dei cartusiani, cosa che niuno aveva fatto mai.” Più o meno con queste parole Padre Dom Benedetto Tromby presenta ai suoi confratelli la sua intrapresa di un’opera che definire monumentale è poco, con lavoro durato quasi quarant’anni, pur continuando la sua vita monastica da eremita.

DA MONTELEONE ALLA CERTOSA DI SANTO STEFANO. Benedetto Tromby nasce a Monteleone (Vibo Valentia) il 20 settembre del 1710 da Saverio e Rosa Crispo, umili e onesti lavoratori che, con non pochi sacrifici lo mantengono agli studi presso il Collegio dei Gesuiti della sua città, dove non solo si compivano le scuole primarie, ma erano stati istituiti corsi superiori di Teologia Morale e Filosofia, di Retorica, Grammatica e di Umanità tenuti da un maestro gesuita. Benedetto a soli 15 anni riesce a concludere il corso di studi nelle dette materie e dopo aver studiato anche Istituzioni Civili, decide di abbracciare la vita monastica certosina.
E’ l’alba del 9 maggio 1729, quando il ragazzo vibonese, a soli diciannove anni, fa il suo ingresso nella Certosa di Serra San Bruno, dove prosegue gli studi di Teologia morale e di Storia sacra ed ecclesiastica. Egli dimostra di possedere, oltre una ferrea preparazione umanistica, uno spirito brillante, acuto d’ingegno e di essere garbato nei modi, generoso e servizievole verso la comunità monastica.
Nel corso del primo anno di noviziato, Tromby scrive un libello, frutto dalla sua esperienza morale e religiosa, rivolto a tutti coloro che pensano di intraprendere la vita monastica, dal titolo: “Lucerna pedibus meis”. La sua passione per la scrittura e per la storia ecclesiastica lo porta, subito dopo, a compilare il suo primo imponente lavoro in ben quattro tomi, le “Origini di tutte le religioni”. La stesura di queste opere non lo soddisfa tuttavia appieno, come egli stesso riconosce, ed è da questa insoddisfazione che deriva la spinta ad approfondire i suoi studi in Diplomatica e in Critica, rivolgendo la sua attenzione verso gli insegnamenti provenienti da Dionigi Petavio (1583-1652), gesuita, teologo e storico, e da Jean Mabillon (1632-1707), diplomatista, teologo e medievista francese, autore degli Annales ordinis sancti Benedicti, in sei volumi, da cui prenderà spunto per redigere la storia dei certosini.

INIZIA UN’OPERA MONUMENTALE. Il suo obiettivo è dare, finalmente, il racconto completo della storia dell’ordine cartusiano. Nessuno si era cimentato fino ad allora in un così immane lavoro di ricerca e ricostruzione, ma lui si sente pronto al sacrificio, reso più imponente dalle obbligazioni della vita claustrale. Così Dom Benedetto Tromby, decide di mettere mano alla sua opera monumentale e più importante, ancora oggi oggetto di studi, essendo l’unica documentazione attendibile della storia cartusiana fin dalla fondazione dell’ordine. Nel 1734, Benedetto chiede al priore di Serra San Bruno, ed ottiene, il permesso di trasferirsi a Napoli, la capitale del Regno, dove può accedere più facilmente ai documenti necessari per la sua ricerca. Dom Benedetto parte per Napoli dove viene ospitato prima nella certosa di Capri e poi in quella partenopea di San Martino. Qui soggiornerà per otto anni, raccogliendo una ingente mole di incartamenti, documenti ed atti, utili alla stesura della sua opera.
Nel suo soggiorno napoletano, nel 1741, per le sue profonde conoscenze religiose e cartusiane, viene nominato procuratore ad lites della certosa di Serra San Bruno in due cause intentate presso la Regia Corte con la tesi che i certosini avessero falsificato i diplomi da cui risultavano le donazioni fatte dai re normanni a san Bruno di ampi poderi, giurisdizione e privilegi. La sua conoscenza e abilità portano alla vittoria delle cause. Della sua dissertazione di difesa, sarà pubblicato nel 1766 un libello dal titolo “Risposta di un anonimo certosino professo della certosa di S. Stefano del Bosco alla scrittura per lo regio fisco…”.
Nel 1742, Padre Benedetto fa ritorno alla Certosa di Santo Stefano di Serra San Bruno, portando con sé una enorme mole di documenti – che poi andranno dispersi nel terremoto del 1783 e per incuria – con i quali inizia la scrittura della sua opera: “Storia Critica Cronologica Diplomatica del Patriarca S. Brunone, e del suo ordine Certosino”. Un lavoro immane che porta il Tromby alla stesura di ben 10 voluminosi tomi con una impressionante quantità di appendici, carte e dissertazioni di vario genere. “Chi è pratico del nostro santo istituto certosino – confessa nella prefazione del primo libro – saprà quanto ben sia costata ad un religioso claustrale una fatiga di questa forte, senza gli aiuti bisognevoli, senza tutto il commodo di libri, e senza la libertà di poter conferire e valersi dell’opera di altri… “.
Il primo tomo viene dato alle stampe a Napoli nel 1773, il decimo esce dai torchi della capitale nel 1779. Tromby dedica il suo lavoro alla moglie di Ferdinando IV di Borbone, Maria Carolina, Regina di Napoli e di Sicilia. L’opera di Dom Benedetto incontra subito il compiacimento di dotti ed eruditi del suo tempo, papa Pio VI gli attribuisce onorificenze che lo portano alla nomina, il 19 marzo del 1799, quale membro onorario della Accademia delle Scienze e delle Lettere.
Tromby si sente soddisfatto per avere portato a termine il suo compito, ma non vuole, da buon certosino, raccogliere titoli ed encomi. Pertanto rinuncia costantemente ad ogni incarico, anche quello di priore, preferendo lo studio e la preghiera.

IL TERRIBILE TERREMOTO DEL 1783. Ma un altro compito difficile ed improbo lo attende nella sua cella di Serra San Bruno. Il 5 febbraio 1783 la terra trema con violenza inaudita in tutta la Calabria, provocando distruzione e morte. Anche la Certosa cede in più parti. Cade la recinzione perimetrale dell’Abbazia, crollano in parte il capitolo, il refettorio, il priorato, il chiostro dei conversi e quello dei procuratori, sono rase al suolo le 24 celle dei padri eremiti. Dell’imponente complesso edificato a più riprese nel corso del cinquecento in pratica non restano che l’ordine inferiore della facciata della chiesa conventuale e 34 arcate del chiostro grande, si salvano invece i 28 monaci.
Padre Tromby in quei giorni è il sostituto del priore. A quel tempo la Certosa era retta da Dom Pietro Paolo Arturi che, convocato dal Priore Generale per l’assegnazione dell’alta carica di Visitatore Generale dell’Ordine, aveva raggiunto Napoli. Tocca a Tromby coordinare le operazioni per salvare il salvabile. A dargli man forte nei primi giorni arriva un sacerdote spagnolo Antonio Despuig y Dameto, che trovandosi in navigazione sul Tirreno, sbarcato a Tropea, raggiunge a fatica Serra. Don Dameto per tre giorni collabora con i sopravvissuti e trova nel Tromby la persona giusta cui infondere coraggio e forza per il salvataggio di preziose testimonianze artistiche del santuario serrese.

RIENTRO E MORTE A MONTELEONE. Dopo quella terribile esperienza, essendo la Certosa in rovina, Dom Benedetto Tromby, in età avanzata e cagionevole in salute, decide di ritornare a Monteleone nella casa natìa, dove trascorre gli ultimi cinque anni della sua vita assistito dalla sorella. Qui si spegne il 16 giugno 1788 e viene sepolto nella sagrestia della chiesa, appartenuta ai gesuiti, di san Giuseppe. La sua tomba nei primi anni dell’ottocento viene profanata da ignoti. Il conte Vito Capialbi, che narra di questo episodio esecrabile nei suoi “Scritti”, per rendere nuovamente onore al Tromby, si adopera personalmente a raccogliere le ossa disperse, a ricomporre la salma del monaco e della sorella che era stata inumata con lui, provvedendo alla sistemazione della nuova tomba nella cappella di San Francesco di Paola. Oggi i resti del grande certosino riposano in un loculo quasi anonimo, dietro una lapide lesionata e poco leggibile, in cui spicca la sola incisione DOM.
Vibo Valentia non lo ha ricordato e ricorda come dovrebbe. A lui non risulta intestata neanche una via. Una città senza memoria è una città destinata all’oblìo.

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